Vivere vuol di re anche resistere al dolore

«Come chi, messosi in mare su una barchetta, viene preso da immensa angoscia nell’affidare un piccolo legno all’immensità delle onde, così anche noi soffriamo mentre osiamo inoltrarci in un così vasto mare di misteri». (Origene).
Mi ci vedo con questa barchetta nell’oceano a sfidare le onde e le tempeste, a sentirmi piccolo e perso in mezzo al mare gonfio e sconosciuto, senza un approdo e senza una rotta. Mi sento così, e tante volte, nella vita: col batticuore, la fatica e la sofferenza di poter rovinare sugli scogli o essere sommerso dalle onde.
Un mare di misteri: la vita, l’amore, la morte, Dio. E io che posso fare in questo mare? Dove dirigere la prua della mia barchetta? Andare a caso affidandomi ai venti o scrutare lontano per cercare una terra, una promessa, una meta solo sperata? Se non si rimane soli è più facile non lasciarsi spaventare dal mare in burrasca. Prima o poi le tempeste si placano. Lo so e l’ho provato. Aspettare la bonaccia e aver fiducia in questo mare che mi sorregge. Solo affidandosi a Chi è amante della mia vita sarà possibile sentirsi dire: coraggio, alzati. Sapendo però che il nostro cammino, il più delle volte, si fa di notte, quando intorno è solo buio e tenebra fitta. Senza frecce o segnali che indicano la strada. Senza il chiarore di una lampada che illumina il sentiero. E di notte poi è ancora più rischioso cadere, tutto è ovattato e silenzioso, ogni cosa è impenetrabile e noi siamo soli. …

Testo completo – Il Sole 24 Ore – Editoriali e commenti – 30 giugno 2018, pag. 12

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