Vivere

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

«Sceglie l’uomo la vita, le sue azioni, / da errori immune apprende la saggezza…». «Nell’animo hanno gli uomini il pensiero, / discernere il meglio quale guida, / autentica sarà la loro vita, / degli anni il numero più vero».
Con questi versi, tratti da due sue poesie (Vita eccelsa e Umanità eccelsa), il poeta F. Hölderlin pone un chiaro discrimine tra esseri viventi e persone vive. Scegliere la vita ogni giorno, tendere alla saggezza, coltivare pensieri nobili ed esercitarsi nell’arte del discernimento. È questo che rende autentica (wehre) la vita e dà senso ai giorni e agli anni.
Per chi rinunzia a questi “esercizi di vita vera” valgono le parole che il visionario Giovanni rivolge all’angelo della Chiesa di Sardi: «Ti si crede vivo, e sei morto» (Apocalisse 3, 1). A chi sarà fedele, invece, sarà riservata «la corona della vita» (Ap 2,19) e concesso il potere di «mangiare dell’albero della vita» (Ap 2,7). Al quale tutti da sempre aspiriamo, se è vero che, secondo gli egittologi, già una raffigurazione del III millennio colloca la dea della vita tra due rami di fico sacro, l’albero della vita.
Nel De anima di Aristotele incontriamo il primo tentativo di definire la vita: «Tra i corpi naturali, alcuni hanno la vita e altri non l’hanno. Con vita intendiamo il fatto di nutrirsi, crescere e deperire autonomamente» (II,1). Amo pensare che gli aristotelici “nutrirsi, crescere e deperire” non riguardino solo la dimensione fisica dell’essere umano. Sono anch’essi esercizi di vita, che vanno a integrarsi con «le parti noiose» di essa, come le chiamava Alfred Hitchcock.
Rinunziare agli esercizi di vita, con le opportunità e i rischi che essi comportano, vuol dire condannarsi a sopravvivere; vuol dire privarsi, scrive E. Morin, delle «possibilità di gioia e di sofferenza, felicità e infelicità» della vita. «Il sopravvivere è necessario alla vita, ma una vita ridotta al sopravvivere non è più vita» (Lezioni da un secolo di vita, p. 53). La vita vera è fatta di «eventi singolari e non di colpi identici ripetuti (p. 41). Sicché «la sorpresa dell’inatteso non deve essere anestetizzata» (pp. 41. 52).
Nel saggio citato, l’ultracentenario filosofo francese dedica un intero capitolo al “Saper vivere”. Le sue parole sono un chiaro invito ad accettare la sfida della complessità della vita; a scommettere nonostante la evidente crisi che stiamo attraversando; a contribuire perché, attraverso scelte leali, anche l’improbabile e l’imprevedibile diventino possibili. «Non c’è una ricetta del Saper vivere, come non c’è una ricetta per la felicità (p. 71). È vero, però, che aspirare al “saper vivere” porta a creare secondo i propri talenti e ad amare secondo le proprie possibilità.

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