Vergogna. Il coraggio di apparire vulnerabili

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Vergogna – «Verecundia» in latino – dal verbo vereri (riverire, aver rispetto) – la parola “Vergogna” ha finito per assumere un significato diverso da quello strettamente legato alla radice etimologica. La vergogna, infatti, è un sentimento di umiliazione che si prova di fronte al disonore o all’infamia derivanti da comportamenti inappropriati. Sentimento molto diffuso, tanto da far dire a Sant’Agostino: «È una cosa vergognosa non avere nulla di cui vergognarsi». Se talvolta la vergogna esprime impaccio o timore dovuti a riservatezza, sempre essa è un sentimento binario: o si ha la sensibilità/coraggio per avvertirla o non è possibile fingere vergogna.

È uno dei sentimenti umani più violenti, incontrollabile e irrefrenabile. È “sentire” il fallimento, l’errore, l’inadeguatezza rispetto al proprio ruolo. È molto di più dell’imbarazzo; la vergogna infatti tocca corde profonde, intime, identitarie perché è un sentimento legato alla percezione che si ha di se stessi. Quando si prova vergogna si ha la percezione di essere stati o essersi scoperti inadeguati. Si vorrebbe diventare invisibili. Sparire per sempre dagli sguardi altrui.

Ma la vergogna può anche esprimere indignazione nei confronti di fatti, idee, opinioni che può indurre alla ribellione, al cambiamento, alla conversione. In più, in quanto emozione personale e intensa, la vergogna può determinare un dolore molto profondo. Da questa vergogna di se stessi, dei propri gesti, dei propri pensieri, può nascere il riscatto, la consapevolezza e il cambiamento verso gesti e pensieri…. verecondi, appunto. In questo senso, «La vergogna non ha nulla di vergognoso: infatti è un sentimento che rivela il possedere una coscienza e ci preserva dalla banalità del male» (E. Bianchi). La vergogna può anche essere una presa d’atto collettiva. In questo caso, afferma K. Marx: «La vergogna non si limita a precedere la rivoluzione; è già in sé una rivoluzione». È vergogna per i propri governanti, quando antepongono il bene e l’arricchimento personale al bene comune; vergogna per la mancanza di verità nella ricerca scientifica e nell’informazione, anche via web; vergogna per la spudoratezza di gesti prevaricanti, duri, prepotenti nei confronti degli altri; vergogna per la mancanza di libertà in certi regimi che ancora si spacciano come la migliore forma di governo possibile.

Nella nostra epoca – a prevalenza narcisistica – pare scomparsa la vergogna, sia individuale sia collettiva. Ci si vergogna di vergognarsi, di apparire vulnerabili e consapevoli. Gli atti e i gesti di cui un tempo ci si vergognava, adesso piuttosto che celati sono esibiti. Recuperare il nobile sentimento della vergogna non necessariamente è segno di fragilità; può esprimere addirittura coraggio, perché «Non c’è mai vergogna nel chiedere aiuto; è una delle cose più coraggiose che puoi fare» (L. Lane).

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