Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
I risultati delle numerose indagini socio-culturali, che a intervalli piuttosto frequenti ci vengono offerti, concordano su un dato: la prevalenza e l’attenzione quasi assoluta riservata al presente. La fatica, cioè, per le donne e gli uomini contemporanei a sentirsi immersi in un flusso temporale che li vedano legati a un passato e proiettati verso il futuro. Per presagirne il senso e provare a intuirne la direzione di marcia.
La cosiddetta Grande Storia, in un simile contesto, col suo bagaglio di conquiste, di guerre e di lutti, sembra perdere qualsiasi significato. Altro che magistra vitae!
Il futuro è visto con fastidio, soprattutto quando lascia intravedere esiti preoccupanti per via di scelte dissennate adottate nel presente. Eppure, è nel presente vissuto in maniera leggera, come voleva Italo Calvino, e lontano da ogni forma ossessiva di accaparramento, che si costruisce la nostra buona storia. A patto di viverlo con un atteggiamento di creativa fedeltà al passato, con uno sguardo fiducioso verso il futuro.
C’è amore e rispetto per la storia solo quando c’è consapevole partecipazione agli eventi e voglia di vivere relazioni leali e generative. In modo da poter dire che la storia sta avanzando, non nonostante me, ma anche grazie al mio contributo.
Ha poca o nessuna credibilità chi continua a credere in una sorta di destino ignoto (o di Ragione nascosta) che dirige la storia. Stessa credibilità meritano quanti pensano che la conoscenza del passato possa trasformarci in futurologi o, peggio ancora, in profeti di sventura. Riducendo al minimo lo straordinario valore che la libertà di ogni persona ha nella costruzione della propria storia. A questo proposito, risulta illuminante quanto già nel 1970 aveva scritto l’esegeta e filosofo israeliano A. Neher: «Creando l’uomo libero, Dio ha introdotto nell’universo un fattore di incertezza che nessuna saggezza divina o divinatoria, nessuna matematica, persino nessuna preghiera possono né prevedere né prevenire né integrare in un movimento stabilito: l’uomo libero è l’improvvisazione fatta carne e storia, è l’imprevedibile assoluto, è il limite entro cui vengono a cozzare e a infrangersi le forze direttrici del piano creatore» (L’esilio della Parola).
La storia, insomma, a differenza del tempo mitico e di quello ciclico, è esposta al rischio dello scacco. «Il futuro non esiste ancora – scrive K. Popper – ed è proprio questa circostanza a riporre su di noi un’enorme responsabilità, poiché possiamo influire sul futuro, possiamo applicare tutte le nostre forze per farlo migliore. Per far questo, dobbiamo servirci di tutto ciò che abbiamo appreso nel passato».