Sobrietà

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

«I fear a Man of frugal Speech […] I fear that He is Grand (Temo un uomo sobrio nel parlare […] temo che egli sia [un] grande [uomo])».
Così la poetessa statunitense Emily Dickinson (1830-1886) apre e chiude il Poema 543. In evidente controtendenza, forse rispetto alla sua epoca, sicuramente rispetto alla nostra. Dominata dagli eccessi, dalla visibilità a tutti i costi e da emissioni di suoni che si fa fatica a considerare parole sensate. Nel resto del Poema, Dickinson motiva perché considera grande l’uomo sobrio: è uno che dà peso alle parole e, per questo, non è facile sbarazzarsi della sua matura personalità.
Le principali ipotesi sull’etimologia della parola sobrietà e dell’aggettivo sobrio rimandano al latino ebrius (ebbro, fuori dai limiti, esaltato, smisurato) preceduto dalla s-privativa. Sicché sobrio è colui che vive in maniera equilibrata, misurata. Il critico e filologo tedesco E. R. Curtius accosta efficacemente sobrietà e sobrio al greco sòphrôn (saggio, sano di mente, moderato). Si può creare così una sorta di ponte semantico che collega la sobrietà alla parola greca ἐγκράτεια (enkrateia), che per Socrate è una virtù centrale per l’etica ed equivale a un comportamento virtuoso, in quanto dominio di sé.
La sobrietà è quindi lo stile di vita che rende la persona degna di fiducia e capace di assumersi responsabilità (cfr. Platone, Repubblica, III, 390b). L’akratēs (privo di sobrietà), invece, proprio perché manca di equilibrio, è inaffidabile e incapace di portare a termine un incarico, come ricordano Senofonte (Symposium, 8,27) e Giuseppe Flavio (De bello judaico, 1,34).
Lo stile di vita sobrio rende evidente nel soggetto la scelta di mettere al primo posto il bene comune. Sia quando questo riguarda il rapporto con altre persone, trattate senza arroganza e sopraffazione, sia quando è in gioco il rapporto con l’ambiente. Ciò fa della sobrietà una virtù civile, che poggia su una vera e propria cultura: curare consapevolmente una qualità della vita lontana mille miglia da liste di precetti e ricette o da visioni sacrificali e pauperistiche.
Non è sobrietà quella che poggia su uno spirito di autoflagellazione e rinunzia alla ricerca e all’avventura. Anzi, chi sposa uno stile di sobrietà lo fa proprio per godere di quella libertà che mette le ali.
Rettamente intesa e vissuta, la sobrietà ci consegna persone sagge ed eleganti, giustificando l’esistenza di una «estetica della sobrietà» (W. Sachs). Protagonista della quale è chi, quasi «artigiano di sé stesso», si spende per costruirsi una identità forte e autonoma, che è all’origine di relazioni sensate e creative.

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