Quant’è bella la libertà di Giovanni Battista! Ai sacerdoti inviati a interrogarlo con ostilità dai Giudei di Gerusalemme, risponde con limpidezza di non essere lui il Cristo, a differenza di quello che forse anche alcuni dei suoi discepoli pensavano; di non essere l’Elia definitivo e nemmeno il profeto ultimo, atteso dal popolo. Se facessimo un confronto con tutte le volte che noi siamo tentati di occupare la scena, magari approfittando indebitamente di ruoli e compiti che non sono nostri …

Il Battista non rivendica, dunque, di essere la Parola, ma si presenta semplicemente come una voce, che scuote perché ci si disponga ad accogliere e ascoltare la Parola.

È voce che risuona nel deserto del mondo. Quante volte raccolgo dalle persone che incontro la confidenza delle angosce che soffrono, delle difficoltà che attraversano questo tempo, che a volte sembra essere divenuto inospitale e arido, appunto come un deserto. Altre sono vittime di quella “desertificazione” spirituale che è “frutto del progetto di società che vogliono costruirsi senza Dio o che distruggono le loro radici cristiane” (Evangelii gaudium, 86). A ciascuno vorrei ripetere con forza l’appello di Papa Francesco: “Non lasciamoci rubare la speranza!”. Tanto più che “è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto, che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi, uomini e donne”. Se ci guardiamo attorno non fatichiamo a riconoscere l’esperienza di tanti che ritornano alla fede e all’appartenenza alla Chiesa dopo aver toccato con mano quanto illusorie e sterili siano altre vie. Così, il deserto finisce per essere il luogo in cui “si torna a scoprire il valore di ciò che è essenziale per vivere”.

Lo stesso appello dei profeti – “Rendete diritta la via del Signore” (Gv 1, 23) – poggia sulla certezza che questo deserto è abitato: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete” (Gv 1,26). L’inviato di Dio viene, come sottolinea Isaia, “a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61, 1-2). Queste parole – che, come ricorderete, Gesù riprenderà e farà sue nel discorso programmatico pronunciato nella sinagoga di Nazaret – chiariscono che i primi destinatari della salvezza sono proprio i poveri: se di loro il Signore non si dimentica, non potrà scordarsene nemmeno chiunque intenda vivere nella fedeltà al suo Vangelo.

Nel nostro cammino incontro al Natale, la liturgia di questa domenica – mentre ci richiama al fatto che non siamo noi la luce – ci affida la responsabilità di esserne testimoni per diffonderla e diradare le tenebre del compromesso, dell’ingiustizia e dell’egoismo senza limiti.

» III Domenica di Avvento, 17 dicembre 2017