Semplicità

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

L’innegabile complessità che caratterizza la nostra vita, individuale e collettiva, non basta a rendere marginale ogni riferimento alla semplicità. Sembra anzi, paradossalmente, che sia proprio il carattere complesso della realtà a suggerire di volgere un’attenzione particolare alla semplicità, che il teologo luterano D. Bonhoeffer riteneva essere “un’opera dello spirito, una delle più grandi” (Resistenza e resa, lettera dell’11/8/44). Tanto da indicarla come “uno degli scopi essenziali dell’educazione e della formazione culturale” (Ibidem, lettera del 12/2/44).

La semplicità, quindi, come strada da percorrere per abitare in maniera consapevole la complessità e arrivare a ristabilire il senso dell’essenziale in situazioni di incertezza e di inquietudine. È, d’altra parte, l’obiettivo verso il quale conduce l’etimologia della parola semplicità: dal latino simplicĭtas, composta da sem (una volta) e plicare (piegare). Semplice è qualcosa di piegato una sola volta che, aperto, può essere conosciuto nella sua essenza. In questo senso, la semplicità appartiene all’esistenza, in tutte le sue forme. Appartiene a chi non fugge, ma affronta la confusione, la conflittualità e la complessità del reale, decidendo comunque di stabilire relazioni leali e confronti propositivi. Come tale la semplicità è un valore, un’arte e una virtù politica; frutto di un cammino interiore alla ricerca dell’essenziale e della libertà, che prende forma in tutte le capacità espressive. Tanto che conquistarla vuol dire recuperare il senso vero delle parole, la forza trasformante dei gesti e l’imprevedibile creatività dei sentimenti. Parole, gesti e sentimenti semplici, non ingenui, sono infatti alla base di relazioni significative e caratterizzano personalità forti, solide e consapevoli dei propri limiti e delle proprie qualità. Intesa in questo senso, la semplicità è tutt’altro rispetto alla patetica cultura del semplicismo, alla rassegnata mediocrità, alla superficiale banalità e all’impudico spontaneismo. Grazie al suo essere esercizio consapevole di intelligenza e di prudenza, la semplicità mette al riparo da forme di perenne insoddisfazione, alle quali è esposto chi, invece della semplicità, ama coltivare la frenesia dell’apparenza. A differenza di questi, la persona semplice non deve dimostrare niente, se non la verità di quello che è e di quello che fa. Ne era convinto Cicerone quando, nel De oratore (1, 53, 229), ricorda Servio Galba che, sottoposto a giudizio per aver massacrato i Lusitani, non volle essere difeso con orpelli retorici, ma unicamente con la simplex ratio veritatis. Coltivare la semplice ragione della verità, come Servio Galba, non è gesto di arroganza né sprovveduta ingenuità, come non lo è mai la semplicità. Anche quella nota ai nostri giorni come downshifting o semplicità volontaria, parente, per certi versi, del principio epistemologico formulato dal filosofo francescano Guglielmo di Ockham e noto come “Rasoio di Ockham”, secondo il quale “a parità di fattori, la spiegazione più semplice è da preferire” (Scritti filosofici).

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