Immunità

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

La definizione che ci ha lasciato Cicerone della immunità la ritroviamo durante il Basso Impero ed è ancora diffusa in pieno feudalesimo. «Immunitas – si legge nella II Philippica – est vacatio seu exemptio munerum et onerum». Derivata dal latino immunitas – composta dal prefisso privativo in e da munus (obbligo) – l’immunità è originariamente l’esenzione da oneri pubblici, compresi i gravami fiscali. Si pensi che, presso i Romani, l’immunis era per antonomasia l’esentasse.
Più in generale, l’immunis è una persona non soggetta al potere normativo ed impositivo altrui. Ovviamente chi gode della “posizione giuridica” di immunità tende a conservarla, creando una rete di protezione e allontanando tutto ciò che viene percepito come minaccia alla immunità acquisita.
Il passaggio dall’ambito giuridico a quello medico coincide con la scoperta del primo vaccino contro la varicella e con gli esperimenti dei colleghi-rivali Pasteur e Koch. D’ora in poi, immune è l’organismo capace di resistere a infezioni e contagi, e comunque a quegli agenti patogeni che ne mettono in crisi l’integrità. Nasce così, secondo la felice intuizione del filosofo Roberto Esposito, un vero e proprio paradigma immunitario che dalla biologia si estende all’antropologia e all’ambito socio-politico (immunità parlamentare!). Anche per il linguaggio corrente, l’essere immune è una condizione spesso privilegiata.
La pretesa assoluta di immunizzazione, proprio perché radicata nella concezione di una identità chiusa e autosufficiente, spinge a rifiutare tutto ciò che disturba prassi, logiche politiche ed economiche consolidate. Ciò che il virus è nell’ambito della biologia, è rappresentato dall’altro nella vita sociale. La ricerca a tutti i costi del mantenimento della propria sicurezza mette al bando l’apertura all’altro e ad ogni forma di accoglienza. Ci si preclude così la possibilità di immaginare un modello di vita nel quale l’altro possa rappresentare una ricchezza. Invece di essere considerato solo e sempre l’usurpatore dei miei beni e il nemico dei miei valori.
In nome del paradigma immunitario e della tensione verso la perfetta immunità, si finisce per cavare dalla vita del singolo e della comunità il sangue rosso delle relazioni e della socialità. Varcato un limite nella ricerca dell’immunità, questa si trasforma inevitabilmente in ossessione autoprotettiva. Con la conseguenza – sul piano fisico, sociale, culturale, religioso ed emotivo – di scegliere per sé e per gli altri una vita non vissuta o trascorsa a stanare il vero o presunto estraneo da espellere. Questa strada condanna a una vita sterile, sempre impegnata ad armarsi contro qualcuno o qualcosa. Una vita senza l’attitudine al sorriso, all’immaginazione e allo stupore.
Anche il sorriso, quello disegnato sul volto (e nel cuore) di chi è sopraffatto dall’ossessione dell’immunità, assomiglia molto al ghigno di chi si compiace con se stesso per aver scovato (spesso inventandoselo!) e annientato il nemico della vita, quello che sarebbe all’origine dei suoi mali.

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