Ricompensa

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Entrare nel cuore della parola «ricompensa» vuol dire sentirsi subito raggiunti da due dei tre «maestri del sospetto»: Nietzsche e Freud. Il loro pensiero, su questo tema, lo ritroviamo riassunto in I just belive in me di John Lennon. Credo solo in me, cantava l’ex Beatles, dopo aver preso le distanze anche dai suoi compagni di band.
Chi crede solo in sé, pensa di bastare a se stesso. Non si aspetta niente dagli altri né alcuna ricompensa per quello che fa. Anzi, afferma Freud, chi agisce attendendosi una ricompensa mostra evidenti segni di fragilità psicologica. Fragilità e immaturità che caratterizzerebbero, secondo Nietzsche, soprattutto i cristiani. Essi credono a una irrealizzabile ricompensa nell’aldilà, come promettono le Beatitudini. Segno di maturità sarebbe invece l’agire senza andar dietro a promesse di ricompensa.
Peccato che anche studi e ricerche di neurochimica condotti sul «sistema di ricompensa negli esseri umani» attestino che la ricompensa e la punizione incidono, in maniera certa seppur diversa, sul comportamento umano e sul processo decisionale. La ricompensa, in altri termini, agisce come proprietà attraente e motivazionale in ordine all’apprendimento. In assenza però di un equilibrato ricorso ad essa, l’attesa di ricompensa ritarda l’acquisizione di comportamenti autonomi e difficilmente favorisce la crescita del senso di gratuità. Ne sanno qualcosa quanti vengono tirati su a forza di mance e paghette. Abituati a obbedire solo se a ogni passo fatto segue una ricompensa.
Ma davvero tra l’attesa di ricompensa, e relativi modelli educativi, e le scelte di gratuità c’è contrasto?
Lo spettro semantico della parola ricompensa porta a riconoscere che, nel contesto lavorativo, la ricompensa indica la paga intera e il compenso per la prestazione d’opera. In questo senso viene utilizzato il termine greco μισθóς sia nelle opere di Omero sia negli scritti del Nuovo Testamento. Mentre, però, nell’autore dell’Iliade e dell’Odissea il termine indica sempre il salario, il compenso o il premio, nei Vangeli il termine μισθóς, e la ricompensa cui esso si riferisce, non è solo il compenso per un’opera prestata; non è solo qualcosa che mi toccherà dopo aver allineato la mia vita, i miei comportamenti e le mie scelte al Vangelo. La ricompensa è già dentro quello che vivo e nella serenità d’animo che deriva dall’aver voluto essere controcorrente: non agire per essere visto dagli altri, non fare l’elemosina per essere lodato, non pregare per farmi notare (Matteo 6, 1-2.5). E, a proposito di gratuità, dare un bicchiere d’acqua (Marco 9,41).

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