Resistenza

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Il campo semantico della parola “resistenza” è segnato sia dalla sua etimologia sia dalla sistematizzazione di alcuni drammatici eventi che hanno segnato la vita socio-politica nazionale; e non solo. Rilevante, a questo proposito, è stato il contributo delle lezioni di F. Chabot e della Storia della Resistenza di R. Battaglia. Accanto al termine resistenza si è fatta strada la Resistenza. Parola fortemente evocativa del movimento di opposizione e di lotta armata attivo durante la seconda guerra mondiale contro governi e regimi totalitari. La parola resistenza, da termine di portata sostanzialmente statica, si è arricchita così definitivamente di un carattere dinamico. Dinamismo non fine a sé stesso, ma tenuto in vita e alimentato da precise progettualità e da forti ideali.
La parola resistenza deriva dal verbo composto re-sistere; a sua volta collegato alla radice sanscrita stha, che esprime l’idea dello stare o del rendere fermo/stabile, preceduto dal prefisso rafforzativo re.  Letteralmente la resistenza è l’atto fermo e ostinato del non cedere mediante una qualunque forma di opposizione all’invadenza di una forza o di una spinta.  Un termine che evoca essenzialmente staticità e voglia di non cedere. Non riferita però solo all’ambito fisico.
A invocare una resistenza che riguarda l’ambito delle emozioni e della vita di relazione è Catullo, nel su Carme 8. Più che una poesia di amore, quello del poeta latino è un pianto d’amore. Soprattutto è un invito a non cedere alla disperazione, e quindi resistere di fronte al tradimento dell’amata. «…Sed obstinata mente perfer, obdura», dice a sé stesso Catullo.   Un anticipo di quanto altri autori hanno poi scritto sull’importanza della “resistenza intima”, come la chiama J. M. Esquirol. Il filosofo catalano parte da una constatazione fin troppo evidente. Le forze che tendono a disgregare la nostra esistenza e a ridurre in frantumi le nostre relazioni non sono solo le forze esterne o quelle legate al clima. Vi sono pratiche quotidiane e forme di comunicazione che gradualmente, ma inesorabilmente, tendono a indebolire, se non proprio a demolire le risorse interiori di ciascuno di noi. Di fronte alla loro invadenza, può solo salvarci la “resistenza intima”, che nulla ha a che fare col comodo e sterile intimismo. Si tratta piuttosto di una resistenza molto vicina a quella maturata nella riflessione e nelle scelte di D. Bonhoeffer. Una resistenza che si nutre di responsabilità, non intende rinunziare all’analisi della realtà, resta fedele alla terra e, per non arrendersi alla mediocrità, non ama pascersi di slogan irresponsabili.

 

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