Pudore

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Il nostro non è certamente un contesto socio-culturale favorevole a tutto ciò che evoca la parola pudore. Soprattutto se si continua ad accostarla a chiusura, senso di vergogna o di timidezza, e la si considera nemica di ogni relazione e impedimento per legami autentici.
Al contrario di quanto si possa pensare, il pudore è l’unica difesa da indebite e fastidiose intrusioni nella propria intimità che mettono a dura prova il senso e la creativa fecondità delle relazioni. Soprattutto in una società che – sembra, con largo consenso – ha trasformato l’assenza di riservatezza in spettacolo, ritenendolo tanto più riuscito quanti più veli riesce a squarciare. Si contrabbanda così la spudoratezza con la libertà di espressione e si rinunzia a conservare per sé spazi di intimità che solo io posso decidere di rendere disponibili per dare più senso, ricchezza e calore alle mie relazioni.
Affermare l’importanza del senso del pudore non ha niente a che fare con le sue manifestazioni patologiche; come l’esasperato e fanatico protezionismo o l’eccessiva vicinanza al perimetro della vergogna, che rendono incapaci di apprezzare l’illuminante intuizione di E. Lévinas. Per il filosofo ebreo, il canale primario per stabilire una relazione con l’Altro è il suo volto, al quale vengo chiamato ad accostarmi con pudore, appunto, senza violentarlo. Solo così dal «volto d’altri» può giungermi l’appello a farmi responsabilmente carico di lui e della sua storia. Il pudore – cosi inteso, e quindi come abito mentale più che fisico (M. Scheler) – mette in crisi ogni forma di individualismo per farsi dono di fedeltà all’altro e di responsabilità per l’altro.
Proprio per questo, trova spazio nella riflessione di filosofi come Nietzsche, ad esempio. Se in Così parlò Zarathustra il pudore viene annoverato tra i mali dell’umanità, in Al di là del bene e del male lo stesso filosofo tedesco riconosce addirittura carattere di sacralità al pudore, considerandolo strumento di protezione per il soggetto. Ciò non toglie comunque che il pudore inteso come difesa della propria intimità corporea resti una efficace e particolare metafora, a partire dalla quale è possibile parlare di un pudore dei costumi, dello sguardo, del linguaggio, dei pensieri e del modo di esibire i propri sentimenti.
Come ampiamente testimoniato nell’intero arco della produzione letteraria, tutto ciò fa del pudore un sentimento non esclusivamente femminile. Del pudore di Ulisse, nel suo incontro con Nausicaa, scrive Omero, mentre di «ciò che non si mostra» e non si desidera rivelare ad altri parla Amleto, in risposta a Geltrude, la Regina madre (Amleto, Atto I, sc. II, 86).

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