Prossimo. Chi condivide il nostro destino

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Prossimo è sostantivo, ma anche aggettivo. In entrambi i casi conserva il significato derivante dal latino proximus ( forma contratta di propissimus, superlativo dell’avverbio prope), con il significato di vicinissimo. Una vicinanza non solo di carattere spazio-temporale, come può essere qualcosa che sta a breve distanza da qualche altra cosa, o un evento destinato a realizzarsi nell’immediato futuro.
La parola prossimo può riferirsi e di fatto si riferisce anche ad altro. Colpisce la risposta di Gesù a chi gli chiede: «Chi è il mio prossimo?». Gesù non fornisce una definizione. Mette invece davanti agli occhi e al cuore (sede di affetto ma anche di decisioni, per gli Ebrei) una situazione in cui la parola prossimo ne esce arricchita di senso. Il racconto evangelico (Lc 10,25-37), da una parte, presenta una situazione di bisogno e di fragilità: quella di un viandante ridotto in fin di vita da alcuni briganti; dall’altra descrive la risposta a quella situazione di bisogno. Una risposta fatta di assunzione di responsabilità da parte di quello che abbiamo imparato a chiamare il “buon samaritano”. Da notare come, in questo contesto, prossimo è sia il malcapitato che interpella col suo bisogno, sia chi risponde facendosi carico di quel bisogno.
Vivere la prossimità allarga gli orizzonti, crea situazioni nuove e relazioni impreviste. «Guardandoti dentro – scrive lo scrittore peruviano S. Bambarén – puoi scoprire la gioia, ma è soltanto aiutando il prossimo che conoscerai la vera felicità».
La “prossimità” che va al di là della vicinanza fisica o parentale può essere intercettata e vissuta solo da chi è disponibile a farsi carico dell’altro che, per il fatto stesso di esistere e di incrociare la sua con la mia storia, interpella.
A volte il prossimo è portatore di un bisogno materiale. Molte altre volte è portatore di desideri o di voglia di partecipazione. Spesso il prossimo esprime il bisogno di condividere un comune destino. Sempre comunque pone domande di senso, anche silenziose, per la propria e per la vita di chi lo riconosce come prossimo e gli fa spazio dentro di sé.
Proprio perché l’essere prossimo non lo definisce esclusivamente lo spazio e il tempo, non è possibile chiudersi a chi, per un motivo o per un altro, vede messi in pericolo i propri diritti. Quelli vitali. Uomini e donne che vivono sotto l’incombente minaccia di un ambiente reso ostile dallo sfruttamento interessato; accerchiati dall’egoismo sfrenato di chi cresce seminando trappole di morte.
Questi uomini e donne, benché fisicamente lontani, sono “prossimo” che interpella perché, come recita un proverbio del Sud Africa: «Siamo ciò che siamo anche grazie agli altri».

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