Politica. L’esercizio del bene comune

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Politica – «La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune» (papa Francesco).

Politica, deriva dall’aggettivo greco politikòs , a sua volta derivato da polis, che ha una pluralità di significati in relazione al contesto nel quale viene usata; tutti però riconducibili alla città, alla cittadinanza, alla condizione di cittadino, eccetera.

La politica, in senso proprio, è esercizio e pratica tesi all’organizzazione e amministrazione della vita pubblica per il bene comune. Essa è insomma l’arte del governo esercitata nei diversi ambiti di sviluppo della vita pubblica. Da qui derivano le determinazioni che la politica acquista: internazionale, economica, finanziaria ecc.

Il passaggio dal termine originale polis a politikà è il passaggio dal soggetto all’oggetto. Soggetto dell’azione politica è la città e i suoi cittadini; oggetto è tutto ciò che contribuisce a organizzare la vita comune nella/della città e dei cittadini perché diventino una comunità.

Platone, per primo, ha assegnato al termine politica e al suo esercizio una valenza educativa per la collettività e per i singoli, finalizzata al bene comune. Il cittadino per Platone fa parte di un sistema di regole (di diritti e di doveri) governate e stabilite dalla politica che ha il compito di realizzare il bene comune e mettere al riparo da interessi particolari. Intorno al compito della politica, filosofi, storici e studiosi si sono spesi per identificare le forme politiche di governo più opportune ed efficaci. Nonostante questo, il ruolo riconosciuto da Platone al cittadino non sembra sempre e dovunque riconosciuto. È così nella geopolitica frutto spesso di spartizioni, nella vita di un partito politico a volte asservito a interessi/idee di corto respiro, nella definizione della «rappresentanza politica» talvolta ridotta a esercizio di cooptazione. Salvo, poi, a invocare la “partecipazione politica”.

Per fortuna non tutto è così. Anche oggi è possibile incontrare uomini e donne convinti che «l’essere fedele cittadino è una virtù e la partecipazione alla vita politica è un’obbligazione morale… è un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro» (papa Francesco); uomini e donne disposti a spendersi per rendere ancora attuali le parole del sindaco di Firenze, Giorgio la Pira. Nel 1955, scrisse: «Fino a quando voi mi lasciate in questo posto, mi opporrò con energia massima a tutti i soprusi dei ricchi e dei potenti. Non lascerò senza difesa la parte debole della città; chiusure di fabbriche, licenziamenti e sfrattati troveranno in me una diga non facilmente abbattibile… Tuttavia la vera politica sta qui: difendere il pane e la casa della più gran parte del popolo italiano. Il pane (e quindi il lavoro) è sacro; la casa è sacra: non si tocca impunemente né l’uno né l’altra.

Questo non è marxismo: è Vangelo». Un Vangelo che disturba solo chi si nutre di sterili e decadenti ideologismi.

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