Persona. Il fascino di un termine ambiguo

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Persona –  «Ho sempre bisogno/ di una nuova definizione/ e gli altri fanno lo stesso/ è una tacita convenzione./ Non ne posso più di recitare/ di fingere per darmi un tono/ io mi mostro senza pudore/ pur di essere quel che sono./ E se mi viene bene, se la parte mi funziona/ allora mi sembra di essere una persona./ Se un giorno noi cercassimo chi siamo veramente/ ho il sospetto che non troveremmo niente».

Scorgo nei versi del cantautore Giorgio Gaber (Il comportamento) tutto il ricco dinamismo che accompagna la parola persona e la consapevolezza che di essa siamo chiamati ad avere. Ma in quelle stesse parole trovo anche tutto il deludente vuoto che si sperimenta quando la parola persona viene pronunziata o vissuta con superficialità. È così quando lasciamo ad altri decidere di noi, del nostro destino, dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni, dei nostri progetti. E quando, con troppa disinvoltura, indossiamo una maschera.

Persona è senza dubbio uno dei termini più pronunziati, forse senza rendersi conto di quanto sia ambiguo, nel senso etimologico della parola. Quanto alla sua genesi, il termine persona non può contare su un unico e certo riferimento etimologico. Vi sono motivi linguistici di sicuro valore che rendono meno certa di quanto si pensi la comune derivazione di persona dal verbo personare, attribuita da Gallio a Gavio Basso. Secondo Tito Livio il termine persona, di origine etrusca (phersu), significa «colui che è mascherato, morto (maschera mortuaria)». La parola persona recupera tutta la sua ricchezza di significati con Cicerone, fino a indicare l’individuo concreto, vivente e capace di stabilire responsabilmente delle relazioni. Straordinaria è, a questo proposito, la definizione che di persona dà San Tommaso: persona «significat id quod est perfectissimum in tota natura, scilicet subsistens in rationali natura» (S Th. ,I, q. 29, a. 3, c).

Ma ambigua è anche la vasta gamma di significati legati al termine persona. Si va da una accezione positiva della persona/maschera – che nell’azione teatrale corrisponde al ruolo del protagonista, capace di interagire con gli spettatori e di rispondere alle loro attese – ad una negativa, in base alla quale la persona/maschera è piuttosto colta nella sua capacità/possibilità di sdoppiarsi fino ad acquisire il significato negativo di simulatore.

Penso che tutta questa ambiguità si spieghi per l’impossibilità di far coincidere tout court la persona con le sue manifestazioni particolari. La persona è mistero: «sta sul limite tra ciò che nell’uomo è manifestazione e insieme sottrazione di sé […]. Essa è costantemente in bilico tra il mettere in conto il suo carattere simbolico e la dimenticanza e l’occultamento di esso» (F. Chiereghin).

Il termine persona ha avuto un ruolo determinante nell’antichità cristiana, soprattutto per mediare sul piano razionale i contenuti del mistero dell’unico Dio in tre persone. Ma anche per significare lo straordinario valore e la irrinunciabile dignità di ogni uomo e di ogni donna.

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