Oblio

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

A chi ritiene essere l’oblivium – composto da ob (verso) e dalla radice liv (cancellare, scolorire, levar via) – esclusivamente una dura e imbarazzante condanna, va ricordata la vicenda di Ireneo, protagonista dell’amaro racconto fantasy di J. L. Borges: Funes, o della memoria. L’aver perso, in seguito a un incidente, la capacità di dimenticare diviene per Funes una vera e propria maledizione. Lo rende prigioniero di dettagli numerosi, incapace di ordinarli, rielaborarli e valorizzarli.
Attraverso la drammatica vicenda di Funes, lo scrittore argentino ha voluto dirci che l’oblio è parte della vita di ognuno di noi. Facciamo tutti i conti con la tendenza a cancellare il passato, soprattutto quello segnato da esperienze dolorose, inflitte o subite. Per cui è proprio vero quanto scrive T. Todorov: «La memoria non si oppone per niente all’oblio. I due termini in opposizione sono la cancellazione (l’oblio) e la conservazione; la memoria è, sempre e necessariamente, un’interazione dei due» (Gli abusi della memoria). Insomma, la memoria che tiene legati, fino a dar loro senso, i diversi momenti della storia individuale e collettiva, vuole paradossalmente l’oblio.
Lo sapevano bene i Greci che consideravano gemelle, e quindi inseparabili, Mnemosine e Lete, rispettivamente divinità del ricordo e dell’oblio. Quasi a dirci che il dovere della memoria non esclude, anzi ha bisogno di un «oblio felice» (P. Ricoeur), che aiuti a riequilibrare i pezzi sconnessi della storia individuale e collettiva, in vista di una costruzione nuova, sensata e bene ordinata.
Si apre così la strada al superamento di una concezione mortifera dell’oblio, facendocene scoprire il valore vivificante, quasi salvifico. Come quello delle mitiche acque del Lete, fiume del mondo dei morti e della dimenticanza. Bisognava necessariamente immergersi in esse per avere accesso all’oltretomba; per poter cioè godere di una condizione di beatitudine. Ne erano convinti il Platone della Repubblica (X Libro), Virgilio nell’Eneide, Goethe nel Faust e Baudelaire nelle sue poesie. In Dante, accanto alle acque del fiume Lete che fanno dimenticare le colpe riconosciute ed espiate, vi sono le acque dell’Eunoè. Immergersi in esse rinverdisce la memoria del bene compiuto ed apre le porte della beatitudine (Inferno, XIV, 136-137; Purgatorio, XXVIII, 121ss.). Lungi allora dal rappresentare un rifugio dall’ossessione paralizzante del proprio passato, l’oblio, soprattutto l’oblio del superfluo, fa parte della vita, «non quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla» (G. G. Marquez).

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