Malinconia

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Malinconia. È trovarsi a vivere in maniera non pacificata il rapporto con l’ineluttabile scorrere del tempo, con la precarietà e la fugacità della vita, mettendo in crisi il senso delle cose, delle azioni e dei progetti. Senso di dolore, diceva Leopardi, che si prova nella percezione del finito avvolto dall’infinito.
Dopo quattro secoli (1621-2021) è stata ripubblicata l’Anatomia della malinconia di R. Burton. In 1300 pagine il pastore anglicano scrive che la malinconia non risparmia nessuno: si fa strada quando un’emozione passa o un amore finisce; quando cambia un’abitudine e viene meno la frequentazione con una persona familiare; quando non c’è più qualcosa a cui sentiamo di appartenere. Ma questa «malattia dell’anima» (Aristotele) si presenta anche come consapevolezza della impossibilità a vedere realizzato un desiderio profondo o soddisfatta una passione coltivata; quando non si riesce ad afferrare la ragione delle cose dal principio alla fine, come afferma Qohelet (3,11).
Secondo l’etimologia di Ippocrate, la melanconia indica la mélaina cholé, la bile tipica dell’umor nero e causa di tristezza morbosa. A differenza dell’altra idea di malinconia che come stato d’animo, lungo la storia, non muta, si sposta da un estremo all’altro di se stessa. Quasi a fare il verso all’alternanza tra la nera Melencolia nell’incisione di Dürer e la rossa Melancholia del contemporaneo Cranach. Un’alternanza che sembra descrivere il carattere della persona malinconica, incapace di soggiornare nel suo tempo e di dare senso alle relazioni, fino a considerare, come dice Baudelaire in Diari intimi, «la malinconia, per così dire, la nobile compagna della bellezza al punto che non so concepire un tipo di bellezza che non abbia in sé il dolore».
Non manca chi ha riconosciuto un valore alla malinconia. A cominciare dalle avvincenti pagine di Marsilio Ficino sul rapporto tra malinconia e genialità; o da Guardini, per il quale la malinconia esprime l’inquietudine di chi avverte la vicinanza dell’infinito, fino a far emergere dal dolore una luce, una speranza.
L’arte ha rappresentato questo paesaggio dell’animo attraverso delle pennellate di nero, come nella serie di tele e di xilografie realizzate da Munch a partire dal 1891, intitolate Melankoli (Malinconia). La postura e la posizione dei personaggi esprimono prevalenti emozioni di solitudine, silenzio, dolore. In quel personaggio solitario in disparte, che regge il capo con la sua mano, la malinconia può diventare l’amica che conduce l’uomo alla verità, la luce per scoprirla, il dolore che conduce alla gioia vera (cfr. Leopardi, Zibaldone, 1691).

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