Malattia. Non siamo perfetti

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Malattia – Sono sostanzialmente due le derivazioni etimologiche della parola malattia: dal provenzale malaptìa o dal greco malakìa (malakiàô = sono ammalato). In entrambi i casi col significato di mollezza, debolezza, languore.
La malattia è un fenomeno che si manifesta in un organismo vivente per l’intervento di una causa che altera l’integrità strutturale delle sue parti. Se ne deduce che la malattia ha una causa (diagnosi) e produce effetti (i sintomi) non desiderati. Nonostante la rassicurazione di Simon Baruch (XIX-XX sec.) – secondo il quale non ci sono malattie incurabili, ci sono soltanto malattie per le quali gli uomini non hanno ancora trovato una cura – la scienza che studia le malattie, la Patologia, da sempre si chiede come mai alcune malattie si manifestino solo in certi organismi viventi o solo in particolari periodi o ancora solo in presenza di opportune condizioni. Studi approfonditi sul tema ci restituiscono delle informazioni preziose: l’insorgenza della malattia dipende prevalentemente ma non solo dalle condizioni di base dell’organismo (se è più o meno forte o più o meno resistente agli stimoli) e dalla reazione che l’organismo è capace di sviluppare per difendersi. «L’uomo forte si riconosce anche sotto le coltri – affermava Seneca. Hai anche tu un impegno: lotta coraggiosamente contro la malattia. Se essa non riuscirà ad ottenere nulla da te, avrai dato un grande esempio» (Lettere a Lucilio, 62/65).
La malattia ci fa toccare con mano il nostro limite e la nostra fragilità: non siamo immuni né perfetti. Comunque la vulnerabilità del nostro corpo o della nostra mente non è un male assoluto: può aprire a manifestazioni di coraggio, a esperienze di moderazione, a scenari di speranza; ci apre «alla nostra realtà ultima, e talvolta all’invisibile» (E. Cioran, La caduta nel tempo). Fino al prossimo episodio perché «così come ci sono delle malattie incurabili, c’è una salute irraggiungibile» (B. S. Horowitz).
Un libro della tradizione tibetana definisce la malattia «un avvertimento che ci è dato per ricordarci ciò che è essenziale». Per rafforzare il senso “positivo” della malattia, alcuni studiosi hanno coniato il termine benattia. La benattia è dare un nuovo significato ai sintomi. Molte volte «Il raffreddore “cola” quando il corpo non piange… Il dolore di gola “tampona” quando non è possibile comunicare le afflizioni. Lo stomaco “arde” quando le rabbie non riescono ad uscire. Il diabete “invade” quando la solitudine duole». La benattia è la malattia non cattiva, è la malattia che avvisa che stiamo sbagliando cammino. In questo caso non esistono farmaci e terapie sostitutive; non esistono reazioni chimiche che distruggono il percorso della malattia.
Esiste l’intelligenza che fa osservare e capire i sintomi; esiste la forza di volontà che innesca meccanismi virtuosi di guarigione a partire da se stessi, perché «guarire è toccare con amore ciò che abbiamo precedentemente toccato con paura» (S. Levine).

Malattia. Non siamo perfetti

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