Immagine

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole

Per una inaccettabile tendenza approssimativa vengono poste, talvolta, sullo stesso piano affermazioni del tipo: “cultura/civiltà dell’immagine” e “cultura/civiltà dell’apparenza”. Sembra la pensasse così anche L. Feuerbach che, nella prefazione alla seconda edizione de L’essenza del Cristianesimo, ha scritto: «Il nostro tempo […] preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere». Ma davvero l’immagine è solo apparenza? Davvero, per esempio, l’immagine che una persona trasmette o tende a trasmettere di sé ha poco o nulla a che fare con la sua reale identità?
L’immagine, e l’immagine identitaria in particolare, non è un elemento di poco conto. Essa è frutto di un’operazione delicata e graduale; e influisce sull’identità e sull’agire della persona. È lo sforzo di dare organicità e visibilità a ciò che ritengo di essere o di voler essere. È ciò che mi rende riconoscibile e afferrabile e, in certi momenti, anche definibile. È ciò che mi distingue da altro e dall’altro. Proprio per questo, essa chiede di essere ri-disegnata continuamente. Alla luce di nuove esperienze, nuove acquisizioni, nuovi desideri e nuove relazioni. Superando una concezione feticistica e pietrificata di sé. Contenitore di pensieri, emozioni, sensazioni e intuizioni, l’immagine di sé è fatta per dare visibilità al loro carattere dinamico.
Ma immagini sono anche le produzioni attraverso le quali l’uomo, grazie alla sua creatività, tende a lanciare messaggi particolari. Lo capisce sempre meglio la nostra società che, per la sua efficacia, ricorre all’immagine, considerandola un veicolo più potente del linguaggio scritto o verbale. Capace di condizionare comportamenti e modi di pensare.
All’origine della parola immagine vi è il latino imago. Derivato, secondo alcuni, dal verbo intensivo imitari e dalla sua forma arcaica imitare; secondo altri, da imaginor. Al di là dell’incerta derivazione, la parola immagine non perde la sua ricchezza di significati e la sua funzione pedagogico-didattica. Se ne trova conferma in autori e filosofi per i quali, a seconda del contesto, l’imago è, insieme, immagine, fantasma, sogno, apparenza, ricordo, riflesso, paragone, allegoria, allucinazione. Negli antichi miti, e non solo, l’imago non è semplice imitazione. Essa unisce idea e realtà, il sensibile e ciò che va oltre i sensi, il trascendente e l’immanente. «L’immaginazione […] è la facoltà di formare immagini che superano la realtà, che cantano la realtà» (G. Bachelard).
Attraverso l’imago, in alcuni contesti, si manifesterebbe addirittura la divinità. Fatte le dovute distinzioni, l’imago è molto vicina all’icona. Più che un documento da leggere, essa esprime tensione verso l’Oltre. Tanto che assolutizzarla o chiuderla in una cornice vuol dire tradirne il senso, che è quello di trasmettere una forza interiore, accompagnare e sostenere l’impegno necessario per realizzare obiettivi e raggiungere mete che, a loro volta, aprano a ulteriori orizzonti di senso.

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