Idolatria

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole

Alla logica raffinata e sofisticata dell’idolatria non sfugge nemmeno l’esperienza dei credenti. Tuttavia, la stessa Bibbia ci avverte che l’orizzonte semantico della parola idolatria non è solo quello religioso. Gesù stesso ha combattuto idoli strettamente legati alla quotidianità. Lo ha fatto, per esempio, condannando l’asfissiante osservanza del Sabato, la comoda e deresponsabilizzante pratica dell’offerta sacra (Korban: Mc 7,11), la rigida e spesso arbitraria differenza tra puro e impuro.
Una lettura attenta dei testi biblici e un rimando etimologico preciso rendono ragione del significato della parola “idolatria”. Essa deriva dal tardo latino idololatrīa che, per aplologia, diviene idolatrīa. Il corrispondente greco è eidōlolatría, composto di éidōlon – forma, aspetto, anche apparenza corporea: la radice contiene “vedere” (id in greco) – e latréia (servizio, culto). Per entrambi i rimandi etimologici – cui possiamo aggiungere l’ebraico Avodàh Zaràh – l’idolatria è, alla lettera, culto/servizio reso a una immagine fabbricata in forme rigide. Non necessariamente però riguarda la sfera del sacro. Idolo infatti è ciò che viene eletto a tutto della propria vita e delle proprie aspirazioni. Una totalizzazione che riduce, fino a distruggerla, ogni libertà di giudizio. Totalizzazione che, sul piano esistenziale, assomiglia tanto a una sorta di compattamento rassicurante e provvisorio delle proprie inquietudini. In fondo, una fuga da sé e dalla realtà nella quale si è collocati, che si trasforma in risposta sbagliata alla percezione del proprio essere creatura limitata e manchevole.
L’idolatra pensa di raggiungere il pieno compimento di sé inginocchiandosi a un dio che deresponsabilizza e a uno stile di vita che tende a coprire le proprie fragilità. Così facendo, l’idolatra rinunzia alla propria libertà e alla propria creatività. L’idolo al quale si vota ne fa un patetico inguaribile e, spesso, un illuso seriale. Vittima preferita delle raffinate strategie messe in atto e alimentate senza sosta dal consumismo di mercato e da forme di politica corrotta e deteriorata.
Alla luce di tutto ciò, si capisce che il divieto biblico «Non ti farai idolo né immagine alcuna…» (Es 20,4) va inteso soprattutto come argine a questa deriva esistenziale. È molto di più della semplice proibizione di costruirsi idoli che «entrarono nel mondo per la vana ambizione degli uomini» (Sap 14,14). Qui infatti è in gioco la libertà dell’uomo. E il Dio biblico, nel condannare la schiavitù rappresentata dall’idolatria, si conferma come il garante della libertà umana e ci ricorda che nessuna idolatria/assolutizzazione ci salva. Senza con ciò doverci sentire risucchiati dal relativismo. Siamo piuttosto invitati ad abitare in maniera responsabile la nostra realtà, senza sentirci al centro e al di sopra di tutto e di tutti. Chiamati a pensarci con gli altri e proiettati verso A/altro. Consapevoli di ciò che si è e di ciò che realisticamente si può essere.

Idolatria

 

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