Grazia

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Non voglio sostituirmi alle informate pagine che ogni buon dizionario di teologia dedica alla parola grazia. Anche perché, dopo averne rilette alcune, mi è rimasta intatta la domanda su come possa dirsi la grazia oggi, a credenti e non credenti. Parlo della grazia che Simone Weil oppone alla pesanteur, rintracciandone la presenza in tutte le manifestazioni dell’esistenza umana. La grazia che azzera il calcolo gretto che nutre stili di vita esclusivamente ripiegati su se stessi; quella che alimenta relazioni e mette le ali al desiderio del meglio possibile, spingendo a spendersi per realizzarlo.
La grazia non è l’altro nome – semmai il nome pulito – di una droga speciale che, prima o poi, arriveremo a procurarci da soli o con la complicità di qualcuno più furbo di noi, per intrecciare legami con mondi altri.
La grazia è sempre e comunque un dono, come ci obbliga a credere la sua etimologia, dal latino gratia e dal greco cháris. È dono. Sia la grazia che viene da Dio, per chi crede, sia quella che è possibile scorgere più semplicemente nella storia, sotto forme imprevedibili.
Grazia è un’intuizione o un aiuto che mi viene offerto e mi sottrae alla morsa dell’angoscia e della confusione. Grazia è l’inatteso sguardo amico che riapre alla relazione il mio cuore ferito dal tradimento. Grazia è suono delicato e parola, che riavvia all’ascolto di un’interiorità abbrutita da pensieri meschini e interessati. Grazia è carezza che aiuta a recuperare una sensibilità perduta, semmai a causa di una violenza subita. Insomma, la grazia è vita. Vita nuova che, per il credente, è dono gratuito che viene dall’Alto, senza, per questo, togliere il gusto per tutto ciò che la vita stessa è. «Gratia – afferma San Tommaso – non tollit naturam sed eam perficit» (Summa Theologiae, I, I, 8 ad 2).
Per tutti la grazia resta comunque un dono che attecchisce, germoglia e porta frutto solo quando incontra persone libere, non occupate ossessivamente da sé e dai propri traguardi da raggiungere. A chi manca di questa libertà resta solo la possibilità di una vita dis-graziata, chiusa cioè alla sorpresa e all’inedito.
In ogni caso, la grazia non può essere né misurata né comprata. È e resta un dono da desiderare e accogliere. E, dopo averne sperimentata la fecondità, cercarlo ancora. Solo lasciando aperta la porta del cuore e dell’intelligenza, la grazia sfugge al tentativo di essere ridotta a scorciatoia per rinunciatari o a una bolla nella quale rinchiudersi per vivere di illusorie sicurezze. Questa è solo «grazia a buon mercato», molto più simile a «merce in vendita promozionale», scrive D. Bonhoeffer nelle prime righe di Sequela.

Grazia

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