Gloria

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Il primo effetto che scaturisce da un accostamento meno superficiale alla parola “gloria”? L’impossibilità a renderla con termini ai quali si ricorre quasi fossero suoi sinonimi. La gloria insomma non è celebrità, notorietà, fama, rinomanza o prestigio sociale.
Tanto per dirne una: non necessariamente la celebrità è garanzia di onorabilità! Non esiste invece gloria vera senza onorabilità; senza cioè tutto ciò che giustifichi – in termini di lealtà, correttezza e responsabilità – il tenere in gran conto una persona e la sua storia.
Più che l’incerta derivazione etimologica, a venirci incontro per definire l’ampio campo semantico della parola gloria sono i termini ai quali ricorrono i vocabolari, soprattutto ebraico e greco.
Il concetto di gloria è reso, in ebraico, con Kabōd. La radice kbd rimanda a concetti assimilabili a “peso”, “quantità”. E, più in generale, all’idea di imponente o di impressionante per dimensione; e, per questo, degno di rispetto e di onore. La kabōd non indica quindi la fama o la notorietà, bensì il valore reale di qualcuno o di qualcosa, stimati per il peso, che permette loro di imporsi e di farsi sentire.
Non è un caso che nelle Sacre Scritture la kabōd (presente 200 volte) di Dio appare, si vede e indica la sua efficace presenza nelle vicende concrete del popolo di Israele.
Lo stesso termine è utilizzato anche per indicare la gloria dell’uomo che, a differenza di quella di Dio, è fragile ed effimera. Tant’è che nel Salmo 48, 17s., si legge: «Non temere quando l’uomo si arricchisce, quando cresce la gloria della sua casa. Alla morte non può portar via nulla, con lui non discende la sua gloria». Ma vi è anche una gloria della quale l’uomo è rivestito e che gli conferisce dignità, come si legge nel Salmo 8,6: «Veramente hai fatto l’uomo poco meno di un dio, di gloria (kabōd) lo hai coronato». Fino a far dire a Ireneo di Lione: «Gloria di Dio è l’uomo vivente» (Trattato contro le eresie, IV, 20, 5-7).
A due coppie di termini invece può essere ricondotto, in greco, il concetto di gloria: timêdoxa e kléos – kûdos. I primi due hanno sempre indicato, fin dall’antichità classica, il riconoscimento della posizione e della dignità di Dio o di una persona. Doxa, riservata quasi esclusivamente a Dio e solo di riflesso all’uomo, esprime la magnificenza che impressiona profondamente. Gli altri due termini coprono ambiti semantici vicini ma non sovrapponibili. Kléos connota la gloria come fama, mentre kûdos,di uso prettamente omerico, è la gloria che segue a vittoriose imprese belliche.
Se la gloria è essenzialmente kabōd, si capisce perché nel nostro mondo vi siano meno aspiranti alla gloria che candidati alla celebrità.

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