Fragilità

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Quando la parola fragilità riguarda le realtà materiali e la loro composizione fisica, essa sta lì a indicarne la scarsa resistenza all’urto e la loro prossimità alla rottura.
Ma il concetto di fragilità interessa anche altre dimensioni del reale che, proprio per questo, richiedono un suo adattamento concettuale e, il più delle volte, un vistoso ridimensionamento del suo significato comune. Fino al capovolgimento dell’approccio negativo alla fragilità, che prevale negli slogan più ricorrenti; quelli che privilegiano l’esuberanza della parola e la violenza dei gesti, e per i quali la fragilità è una moneta fuori corso.
Il primo adattamento semantico che si impone quando ci si sposta dal mondo fisico a quello della fragilità propria e del complesso mondo delle relazioni riguarda la contrapposizione tra fragilità e forza. La fragilità delle emozioni che segnano la nostra vita intima e le “virtù deboli” (N. Bobbio) – delicatezza, sensibilità, gentilezza, tenerezza, speranza e positiva inquietudine – non sono malinconiche illusioni o inutili tormenti. Sono piuttosto consistenti fili che si intrecciano fino a generare relazioni significative tra coloro che sono disposti a riconoscere e ad accogliere la propria e l’altrui fragilità. Senza occultarla od ostentarla; due modi abbastanza simili per sfuggire al doloroso ma fecondo compito di lasciarsi interpellare da essa.
Dimenticando i macabri eccessi del modo in cui la spietata Sparta era solita liberarsi delle varie forme di fragilità, oggi bisogna comunque vigilare perché vengano neutralizzati gli spazi della cultura neoliberista ai cui occhi ogni fragilità è inutile. La via della fragilità si rivela essere invece una vera forza quando non cede alla tentazione di sentirsi condannati alla rassegnazione, verso la quale spinge il diffuso bullismo virtuale o reale, sempre pronto a dissimulare una realtà che invece attraversa tutta la nostra esistenza.
La fragilità non è una scelta, non chiede pietismo e non è solo quella del bimbo appena nato e che ne caratterizza l’esistenza finché non raggiunge la sua piena autonomia. L’evidente fragilità iniziale della persona ne accompagna, poi, tutta l’esistenza. Man mano che ne diventa consapevole, cresce la corretta misura di sé, dei propri limiti e delle proprie reali possibilità.
Certo, la nostra non sarà mai l’onnipotenza fragile del Bambino nato a Betlemme. Potrà però lasciarsi contagiare dal suo modo di stare nel mondo, accogliendo ogni fragilità. Anzi assumendola come inizio di una Storia nuova. Cosa vuol dire, se non questo: “Il Verbo si è fatto carne”?

Fragilità

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