Eleganza

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Nonostante appartenga ai primi decenni dell’era volgare, la figura singolare di Petronio Arbitro, presentata da Tacito, resta la personificazione più riuscita dell’eleganza, in tutta la sua complessità, composizione e modo di manifestarsi.
«Erudito luxu» ed «elegantiae arbiter», scrive di lui l’autore degli Annales. Un signore raffinato, che gusta cibi scelti e rari; spirito superiore che non tollera le persone grossolane nel godimento della ricchezza. Famose sono le pagine con le quali, nel Satyricon, Petronio mette in ridicolo l’uso inelegante del piacere e del patrimonio da parte dell’ex schiavo Trimalcione.
Eleganza: qualità, ricerca, atteggiamento o dote naturale? Forse l’eleganza è tutto questo. Di sicuro, riguarda quello che siamo e non quello che indossiamo. E, proprio per questo, un gesto, una parola o anche un portamento elegante non sono occasionali e irripetibili. Sono piuttosto frutto del modo di gestire sé stessi nella quotidianità, di affrontare questioni o di vivere eventi. Soprattutto quando si sta con altri, si parla e si condividono progetti di vita o semplici opinioni.
Non è vero, allora, che l’eleganza non riguardi le relazioni nella coppia; con la scusa della consuetudine, si perde di vista che è comunque sempre in gioco la dignità interiore dei partners. Dignità interiore che stenta a farsi strada in presenza di comportamenti rozzi e privi di sincerità.
C’è un modo elegante, che non è riduttivo, di sopportare la fatica del lavoro o il dolore per un’avversità. Non è elegante fare eccessiva mostra del proprio disagio di fronte alla fatica, come se si fosse gli unici a sopportarla. E non è nemmeno elegante, soprattutto per chi lavora con le parole, usarle in maniera sciatta e impropria.
Tutto ciò fa dell’eleganza un valore, più che un concetto astratto o la somma di assiomi. Come tale, l’eleganza deriva da una piena ed equilibrata consapevolezza di sé, che porta a fare scelte misurate, autonome, dettate da sobrietà e discrezione. Non è un caso che la parola eleganza derivi dal verbo latino eligere – composto da ex (fra) e ligere (scegliere) – e che, proprio per questo, non la si possa insegnare.
L’eleganza si vive e la si comunica, scegliendo e coltivando modi, parole e, soprattutto, quegli atteggiamenti interiori che danno colore e calore alle relazioni. Trasformandole in «minuetto» che non può tuttavia essere ballato al ritmo dell’ostentazione. Né della qualità e della quantità dei beni che si posseggono, né dei titoli acquisiti, né della divisa che s’indossa o della funzione che si sta esercitando. Tutta roba di cattivo gusto che seppellisce ogni forma di eleganza.

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