Dipendenza

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Il primo campo semantico verso il quale ci si sente spinti – soprattutto se intrappolati all’interno di una logica positivistica – è la dipendenza intesa come stato di schiavitù nel quale viene a trovarsi chi si lascia assorbire totalmente da una realtà esterna. Fino a non poterne fare a meno. È questo il significato che ha reso il termine dipendenza altamente stigmatizzante. Per lo più accostato alla dipendenza da droghe, gioco d’azzardo, shopping compulsivo ecc.
Una certa sorpresa coglie chi si avventura nella storia e nella etimologia della parola dipendenza. Scopre infatti che si può dipendere anche da un forte desiderio, da una passione o dalla ricerca di qualcosa o di qualcuno che aiuta a raggiungere un obiettivo.
Per superare la confusione o contraddittorietà che può accompagnare l’approccio alla parola dipendenza, basta affacciarsi sulla condivisa distinzione, presente nella lingua inglese, tra la dipendenza come dependence e la dipendenza come addiction. Nel primo caso, la dependence è la situazione patologica di un organismo che, per funzionare, ha bisogno esclusivo di una sostanza. L’addiction, invece, è lo stato psicologico di chi, per sentirsi pienamente riuscito, avverte forte il bisogno di mettersi in gioco per raggiungere una meta. Al punto che il non farlo svuota di senso la propria esistenza.
A rendere positivo o negativo il significato della parola dipendenza è l’oggetto dal quale si dipende. Sicché percepirsi dipendenti è, sì, segno di vulnerabilità, ma non ancora di una fragilità che paralizza. Ci si può infatti percepire vulnerabili ma, proprio per questo, sentirsi spinti ad abbandonare ogni presunzione di autosufficienza. A vivere cioè lo stato di dipendenza senza sentirsi egoferiti, anzi a viverlo provando a dargli un senso. Pur sapendo che, così facendo, ci si allontana dall’ideale umanista che, già presso i Greci, si nutriva di autarchia, autonomia e autosufficienza. Tanto da far dire a Cartesio che «perfetto è ciò che non dipende da nulla». Nell’autore del Discorso sul metodo la dipendenza è solo sinonimo di schiavitù.
La straordinaria esperienza della vita intrauterina – ritenuta negativamente, da Freud, l’inizio del sentimento di dipendenza – apre invece alla possibilità di guardare alla dipendenza come allo stato che ci permette di dire la verità su quello che siamo. E che spinge a scegliere se vivere la condizione di dipendenza da schiavi, oppure – proprio perché dipendenti – sentirsi chiamati a fare poca o tanta strada in compagnia di chi – come pure di un ideale – aiuta a trasformare la dipendenza in porta aperta verso relazioni generative.

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