Contemplazione

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Contemplazione. Una delle parole e delle pratiche che meno sembra appartenere alla nostra società che, nella migliore delle ipotesi, la relega in luoghi ritenuti privi di vita vera e la considera estranea ai suoi ritmi e alle sue esigenze. La nostra, infatti, è una società sempre meno avvezza a nutrirsi di parole sensate, nate dalla fecondità del silenzio, e di gesti che sgorgano dalla gratuità di sguardi attenti e prolungati.
La parola contemplazione deriva dal latino contemplāri (guardare a lungo, con stupore e ammirazione), formato dal suffisso cum e dalla parola tĕmplum, spazio di cielo che l’augure, indovino dell’antica Roma, circoscriveva col suo bastone sacro (lituo) per osservarvi il volo degli uccelli ed effettuare delle divinazioni.
Dall’osservare il volo degli uccelli, contemplare passò a significare più in generale lo sguardo interiore, intenso e continuo, su qualcosa, su una proposta o su una parola. Soprattutto quest’ultima, se rivelata o ritenuta tale.
La lingua ebraica, per indicare l’esperienza contemplativa, ricorre a locuzioni equivalenti al nostro “alzare gli occhi” e fa uso della particella wehinnêh, che accentua l’effetto di sorpresa e di imprevedibilità che accompagna la contemplazione. Nel mondo greco, ai verbi oráo e theoréo è affidato il compito di esprimere le due caratteristiche dello sguardo contemplativo: l’intensità e la persistenza.
Liberata dai limiti dell’idealismo classico e dell’attivismo moderno, la contemplazione si presenta come la forma più alta della vita intellettuale e spirituale dell’uomo. È l’esperienza interiore di chi, abitando in maniera intensa e prolungata il proprio templum, giunge alla consapevolezza necessaria per interpretare la storia personale e quella comunitaria.
Molto vicina a questa concezione è quella che ci consegna gran parte della riflessione recente. A cominciare da E. Mounier, per il quale la contemplazione non è un’evasione, ma «l’attività che esamina i valori e se ne arricchisce, estendendo il loro regno sull’umanità». L’azione contemplativa – aggiunge il filosofo francese – agisce attraverso scelte e parole profetiche. Le uniche capaci di dare testimonianza dell’a/Assoluto nel loro tagliente rigore, in quanto estranee agli inevitabili accomodamenti e alle colpevoli compromissioni della storia, personale e comunitaria. Sulla stessa linea si pone l’invito di Hannah Arendt – in Vita activa – a recuperare il gusto della contemplazione, che permette di resistere alla manipolazione e libera da tutto ciò che è stabilito da altri e offerto come panacea totale. Le fa eco, in questo, J. Pieper, quando scrive che la contemplazione «preserva la verità […] dando significato a ogni atto pratico della vita».
Così intesa, la contemplazione non potrà mai essere o riguardare l’esercizio di un’ambizione calcolata. Essa apre all’imprevisto e all’inedito. E, proprio per questo, converte continuamente e rende capaci di un giudizio e di uno sguardo critico sulla storia, personale e comunitaria.

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