Compassione

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Non saprei se, dinanzi alle insopportabili sofferenze che segnano ancora la vita di tante persone, H. Arendt confermerebbe quanto affermò, nel settembre 1959, ricevendo il Premio Lessing: «La compassione giocò un ruolo fondamentale per la scoperta e la conferma di una natura umana comune a tutti gli uomini» (Umanità in tempi bui).
La scoperta e la conferma di una natura umana comune a tutti gli uomini sembrano non bastare per liberarci da scene di evidente disumanità. Accompagnate da sconcertanti proclami e dimostrazioni di forza vigliacca, e questo da parte anche di uomini politici che dimostrano solo spietatezza ed evidente abilità nello strumentalizzare tutto. Anche la sofferenza. Lontano mille miglia dalla compassione che è – come ricorda la sua derivazione etimologica latina (cumpati) e l’equivalente greco (συμπἀθεια: sym-patheia) – «partecipazione del nostro sentimento all’infelicità degli altri, perché con essa, se ci è possibile, siamo spinti ad andare loro incontro» (Sant’Agostino, De civitate Dei, IX, 5; Aristotele, Rhetorica 1378a, 19-22).
Purtroppo la parola compassione ha subito una torsione semantica che l’ha allontanata dal cum-pati. Piuttosto che nobile partecipazione alla fatica di vivere dell’altro, in alcuni contesti la compassione è diventata sinonimo di pena o compatimento. Sentimenti vicini alla sprezzante commiserazione o, nella migliore delle ipotesi, a mero sentimento buonista. Entrambi vanno e guardano dall’alto al basso, senza passare attraverso l’empatia, porta d’ingresso della compassione, senza però potersi ad essa assimilare.
Pur caratterizzandosi per calore, vicinanza e presenza, la compassione è scelta consapevole e ricerca responsabile per il ristabilimento della giustizia. È compito e non dovere. È movimento del cuore e decisione della ragione che, nella relazione, escludono ogni contropartita. Ne è capace, come ricordano M. Buber ed E. Lévinas, solo chi sa stare con sguardo leale e libertà interiore al cospetto di se stesso e del volto dell’altro, senza giudicare. La compassione, che N. Bobbio identifica con la misericordia sulla base della mitezza, «fa parte dell’eccellenza umana, della sua dignità, della sua unicità» (Elogio della mitezza).
Processo costoso e non sentimento adatto ai deboli, come vuole Platone e come sostengono gli Stoici, la compassione è capacità di accudimento ed esercizio di presenza anche verso se stessi. Soprattutto in presenza di errori e fallimenti, che esigono consapevolezza ed equilibrio necessari per tenere vivo il valore che siamo e combattere per non sciuparlo. Senza lasciare spazio a compiaciuti ripiegamenti dell’io.

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