Cittadinanza

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Pur godendo ancora di grande prestigio in numerosi contesti socio-politici, la parola cittadinanza è chiamata sempre di più a fare i conti con un magma sociale poco disposto a disfarsi di approssimazioni e strumentalizzazioni. Le risse inconcludenti e gli scetticismi rinunciatari che tendono a moltiplicarsi in un contesto di globalizzazione e di accentuata mobilità umana sono l’amaro frutto di un vistoso deficit culturale e di spirito civico-politico.
In parallelo, a dilatare o a restringere il significato e la prassi legata ai contenuti della cittadinanza contribuisce anche buona parte dei media, per lo più concentrata su episodi limite. Inevitabile, di conseguenza, la riduzione a materia di polizia e di tribunali, su cui soffia una propaganda di parte, dominata da logiche faziose, capaci solo di provocare reazioni ingenuamente includenti o, più spesso, difensive ed escludenti.
Eppure, la direzione verso la quale orienta la storia del concetto di cittadinanza è di tutt’altra portata. Sul piano etimologico la parola deriva dal latino civis che indica il residente o l’abitante in un territorio che, proprio per questo, può godere di beni e privilegi particolari ed è, nello stesso tempo, soggetto di doveri. A differenza di chi è peregrinus, nomas o vagus, destinato a rimanere fuori dalle mura.
Comunque – vedi Aristotele e Cicerone, per esempio – è il verbo politèuesthai a qualificare il civis: ossia, il fatto stesso di «abitare insieme» rende partecipi alla polis o res publica. Per noi oggi dovrebbe essere scontato che una convivenza sana esige la collaborazione per raggiungere il bene comune. Per questa ragione il cittadino è tale per la sua presenza responsabile e per il contributo stabile offerto mediante lo studio o il lavoro.
La cittadinanza non può dunque essere concepita come «concessione» di una Questura qualsiasi. La legge statuale disciplina con decreti un diritto inalienabile della persona. Il rapporto cittadinanza-territorio va inquadrato come obbligo morale di colmare il divario tra legittimità e legalità. Vi sono infatti diritti legittimi della persona per il fatto stesso di appartenere alla comunità umana, e non a una patria. Un’appartenenza, quindi, più ampia rispetto alle misure disciplinari che rischiano di ridurla al passaggio di frontiere, eredità questa delle tragiche ideologie nazionalistiche, purtroppo risorgenti.
La risposta all’esigenza identitaria non può venire dal percorrere le scorciatoie sterili e pericolose del «patriottismo», che arriva spesso, nel caso nostrano, ad alimentarsi di pratiche religiose pericolosamente ridotte a ideologie.

Cittadinanza

Book your tickets