Carezza. Indispensabile tocco di vita

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Carezza – La “carezza” è in genere un contatto fisico, intimo. Per estensione, con la parola carezza si può indicare familiarmente ogni atto che implichi il riconoscimento della presenza di un’altra persona.

Dal latino carus (amato) o dal verbo mulcère (carezzare), la carezza non è un semplice gesto lenitivo. Evoca l’accoglienza di una casa, capace di calmare e rasserenare. Non è un caso che uno dei bisogni fondamentali del bambino, fin dalla nascita è il contatto, l’intimità fisica e la carìtia. Al pari della necessità del cibo, questi gesti sono essenziali per uno sviluppo equilibrato.

Numerose ricerche ci dicono che la deprivazione sensoriale, sia nei bambini sia negli adulti, provoca danni anche irreparabili. Lo psicanalista Renè Spitz ha dimostrato che i neonati, se lasciati soli e privati a lungo di stimolazioni fisiche quali le carezze, possono sviluppare disturbi evolutivi o forme psicopatologiche che, in casi estremi, arrivano fino alla morte. «Un bambino che cresce senza una carezza, indurisce la pelle, non sente niente, neanche le mazzate» (E. De Luca).

Il principio fondamentale che anima il comportamento degli esseri umani è che qualsiasi tipo di carezza è meglio di nessuna carezza. Il nostro bisogno di essere accarezzati cioè è così importante che se non riceviamo sufficienti carezze positive, ci accontentiamo di quelle negative, intese come attenzioni ricevute da altri non necessariamente bene intenzionati nei nostri confronti.

La carezza, «tenera dimostrazione di amorevolezza e di benevolenza un po’ leziosa che si fa lisciando con il palmo della mano» (J. Folla) è il tocco della vita. Gesù ha resuscitato i morti con una carezza o con una parola assimilabile a una carezza. In una carezza c’è accoglienza, c’è consapevolezza del dolore dell’altro. È un gesto lento, più di un abbraccio, più di un bacio, perché la carezza presuppone spazi e tempi da scegliere e da decidere. A ben pensarci, è per questo che la carezza, oggi, appare un gesto desueto, in via d’estinzione.

Talvolta ambiguo. Eppure, il sociopsicologo J. Salomé raccomanda: «Se non sai che fare delle tue mani, trasformale in carezze».

Se sapientemente utilizzata, la carezza è un utile strumento per trasmettere comportamenti adeguati. Essa agisce come un rinforzo: può essere usata come critica costruttiva, che aiuta la persona a comprendere cosa c’è che non va nello specifico; o può aiutarla a conoscere meglio le proprie capacità.

Le carezze che possiamo positivamente scambiarci nelle nostre relazioni interpersonali sono potenzialmente infinite. Bisogna avere il coraggio di destrutturare l’«economia delle carezze» che le riduce al lumicino. Al contrario, dovremmo imparare a usarle il più possibile come strumento di comunicazione per trasmettere la voglia di esserci e non di giudicare, di amare e non di criticare, di desiderare e non di allontanare perché «il desiderio si esprime attraverso la carezza come il pensiero attraverso il linguaggio» (J.-P. Sartre).

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