Buonumore

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

I tre atti e la trama abbastanza prevedibile dell’opera teatrale di Carlo Goldoni, Le donne di buon umore,  danno ragione dei due atteggiamenti che rendono possibile il buonumore: fiducia e leggerezza. Espressioni entrambe della certezza di avere a che fare con chi, in ogni caso, è disposto a farti credito di buonsenso e che, proprio per questo, è disposto a leggere la propria e l’altrui storia con sana ironia.
L’opera di Goldoni forse si ferma dove il genio irriverente di Voltaire azzarda; fino ad affermare che «la più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno è quella di essere di buonumore». Di cercare e coltivare cioè per la tua giornata relazioni improntate a fiducia reciproca e a leggerezza; che non è assenza di prudenza né irresponsabile superficialità.  Il buonumore è virtù leggera. Allena occhi, cuore e mente ad apprezzare la sorprendente varietà della vita e spinge a nutrirsi dello spirito di libertà. Indispensabile per sfuggire alla sindrome del sentirsi sempre e comunque dei potenziali cani bastonati, dalla vita o da chiunque osi affacciarsi nel recinto della propria vita.
La radice etimologica della parola buonumore rimanda al latino humus (terra). A ricordarci che la virtù – tale la considerano Aristotele, San Tommaso e lo stesso Dante – del buonumore può appartenere solo a chi, in maniera esplicita o implicita, si riconosce nato dalla terra e limitato. Ma anche – come racconta la Sacra Scrittura e, in maniera diversa, tutti i racconti mitici di creazione – riscattato dalla mera materialità.
Come per tutte le virtù, parliamo del buonumore come di un habitus interiore o di una condizione esistenziale che si acquista con l’esercizio. È pianta che cresce solo nel giardino di un’esistenza pienamente consapevole di sé ed equilibrata. È quella che Aristotele chiamava l’eutrapelia (Ethica. Nicomachea. II 7, 1108a 23-24; IV 8, 1128a 9-10) e Tommaso d’Aquino iucunditas (Summa Theologiae, II-IIae, q. 168, a. 2).
Per entrambi il buonumore è una virtù morale, che esige senso della misura. E che sempre si accompagna a una intelligenza nuova e a un’eleganza spirituale, capaci di relativizzare tutto ciò che presume di presentarsi come assoluto. In ogni ambito. Consentendo di vedere meglio ed oltre. Questo sguardo positivo, frutto del buonumore, è messo seriamente a rischio tutte le volte in cui il contesto sociale sceglie la radicalizzazione e l’esasperazione, alimentate da una satira cattiva e corrosiva. Tipica di chi è incapace di lasciarsi ispirare dalla spiritualità (laica), che si nutre di prossimità vissuta senza invadenze e di lontananza che esprime discrezione e non diventa mai indifferenza.

Buonomore

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