Benedizione

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

La benedizione non è semplicemente un augurio, e non è una pratica superstiziosa o scaramantica. Né «la benedizione è soltanto qualcosa di puramente spirituale, bensì qualcosa che opera in profondità nella vita terrena. Sotto l’influenza della vera benedizione, l’esistenza diviene sana, solida, fiduciosa nel futuro, operosa, proprio perché attinge alle fonti della vita, della forza e della gioia» (D. Bonhoeffer, Lettera 25 agosto 1942).
Che ricchezza in queste parole! E che respiro! Mi sembra che esse ridimensionino strumentalizzazioni improprie ed eccessi interpretativi, dovuti alla sovrapposizione (confusione) tra benedizioni invocative e benedizioni costitutive. Di entrambe parla la Bibbia, aggiungendo che, anche se è l’uomo a pronunciare parole di benedizione, è Dio che benedice chi e tutto ciò che entra nel suo progetto di amore. Nessuno può pensare di avere l’esclusiva rappresentanza di Dio, rischiando di trasformare il servizio in potere e l’invocazione in giudizio. È in questo contesto che vanno lette le parole con le quali Balaam riconosce di non avere da sé il potere di benedire: «Ecco, di benedire ho ricevuto il comando: egli ha benedetto, e non mi metterò contro» (Numeri, 23,20).
Le parole di benedizione, chiunque le pronunzi, sono aria pulita che spira sui nostri progetti, sulle nostre miserie e sulle nostre speranze. Esprimono il bisogno di essere sostenuti nello sforzo di «superare sospetti, paure e chiusure per assumere il coraggio liberante dell’incontro» (papa Francesco).
Le parole di benedizione sono il contrario delle parole separate dalla vita e dai sentimenti veri che, sofisticati paraventi, si trasformano in strumenti per ingannare e piegare la realtà e le coscienze a interessi di piccolo cabotaggio. Queste non sono parole di benedizione, capaci di alimentare «il coraggio liberante dell’incontro». Queste non sono parole benedette. Non esprimono ciò che porta in grembo la parola benedizione che, nell’Antico Testamento, traduce l’ebraico berâkâh; con tanti significati, tutti riconducibili a «parlare bene di», raccomandare, invocare la benevolenza e il favore di Dio.
Così trovo scritto nella Benedizione di Romena: «Possa la via crescere con te / possa il vento essere alle tue spalle / possa il sole scaldare il tuo viso / possa Dio tenerti nel palmo della Sua mano. // Prenditi tempo per amare, / perché questo è il privilegio che Dio ti dà. // Prenditi tempo per essere amabile, / perché questo è il cammino della felicità. // Prenditi tempo per ridere, / perché il sorriso è la musica dell’anima. // Prenditi tempo per amare con tenerezza, perché la vita è troppo corta per essere egoisti».

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