Ambizione

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole /  Ambizione. Parola demonizzata e passata, nel gergo comune, a indicare cupidigia, illecito arrivismo e ingiustificata mania di grandezza. Significato ben diverso da quello etimologico, dove la parola ambitio(nem) – dal verbo latino ambìre, composto dalla particella amb (intorno) e dal verbo ire (andare) – significa letteralmente “andare in giro”. Nell’antica Roma l’ambitio era l’attività di chi, candidato a una carica pubblica, andava casa per casa sollecitando approvazione e sostegno alla propria candidatura. L’ambizione è quindi l’aspirazione e il conseguente impegno profuso per il raggiungimento di un obiettivo, che si ritiene irrinunciabile per la propria realizzazione e possibilmente anche per il bene comune. Col tempo, all’andare in giro a cercare consensi, si è unito il farlo sopravanzando gli altri, trasformando così la ragionevole ambizione da molla positiva a pratica nevrotica, oltre che socialmente ed eticamente dannosa.
Nel Dizionario Tommaseo-Bellini (1861) si legge: “La ambizione non è dannabile; né da vituperare quello ambizioso che ha appetito d’avere gloria co’ mezzi onesti e onorevoli”. Questo sguardo positivo considera l’ambizione un ingrediente vitale che plasma la vita e le scelte di chi ritiene di avere davanti a sé mete da raggiungere e obiettivi da realizzare. Solo gli spiriti sazi infatti hanno smesso di nutrire ambizioni. La scelta di “mezzi onesti e onorevoli” fa la differenza tra la sana ambizione e il sinonimo che ingiustamente le viene affiancato: la presunzione. A differenza di chi, avendo una percezione positiva di sé, nutre una sana ambizione, il presuntuoso non ha uno sguardo realistico su di sé e sugli altri. All’eccessiva e non fondata opinione di sé, questi unisce uno sguardo sugli altri volto solo alla loro strumentalizzazione.
Unicamente la chiarezza degli obiettivi e la corretta scelta dei mezzi per raggiungerli mettono al riparo dalla natura ambigua e talvolta contraddittoria dell’ambizione. La positività dell’ambire a volare alto può trasformarsi in forza distruttiva quando si va in cerca di un generico riconoscimento, spostando l’attenzione dalla bellezza e dalla validità dell’obiettivo cui si mira al farne la strada per l’esclusiva affermazione di sé. Ambire non significa necessariamente primeggiare. La pretesa di essere sempre il migliore e/o l’unico in tutto trasforma l’ambizione in una forza interiore negativa e autodistruttiva. Uno spasmo che rende insopportabili a sé e agli altri. E che confonde, come scrive A. Gramsci, “le piccole ambizioni (del proprio particulare) con la grande ambizione (che è indissolubile dal bene collettivo)” (Q 6, VIII). Piccole e sfrenate ambizioni sono, ad esempio, quelle che ispirano alcuni personaggi shakespeariani del Macbeth a commettere ignobili nefandezze. Così facendo, questi rendono visibile la deriva incontrollabile di un’ambizione senza freni morali, che presto mostra il suo volto insaziabile e perennemente insoddisfatto.

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