Benessere

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Coerente con la sua impostazione filosofica, per K. Jaspers il benessere è lo stato positivo proprio di chiunque abbia consapevolezza di esistere.
Definizione eccessivamente sintetica, rispetto a quella contenuta nel Rapporto della Commissione Salute dell’Osservatorio Europeo su sistemi e politiche per la salute. Qui il benessere è «lo stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale di ben-essere che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale personale nella società».
La parola benessere indica quindi una condizione che coinvolge la persona in maniera integrale: nella sua dimensione fisica ed emotivo-affettiva, e in quella sociale e spirituale. Né si limita al ben noto «benessere economico».
Dal composto latino bene ed esse e col significato di percezione di comfort, sembra che la parola benessere sia nata nel XVIII secolo. Molto più ricco è tuttavia il corrispondente greco di benessere: eudaimonìa. Termine che ha attraversato la filosofia antica, dai Presocratici ad Aristotele. Composto da eu (buono) e dàimon (genio, demone), non si identifica né con la semplice felicità né con la occasionale serenità. L’eudaimonìa è l’essere posseduti da un «buon demone», che indica lo scopo della vita e che, proprio per questo, orienta i comportamenti e i progetti della persona, portandola all’autentica realizzazione di sé.
Assenza di benessere, di conseguenza, vuol dire percepire la mancanza di obiettivi verso cui indirizzare le proprie energie, e la povertà di significato nelle proprie aspirazioni. Invece, cercare il benessere è prendersi cura delle proprie incertezze, insoddisfazioni, paure del futuro, ansie e frustrazioni. Per superarle.
Il benessere è per lo più soggettivo, non predefinito né del tutto standardizzato. Né tantomeno raggiungibile con bagni di vapore, creme, oli e incensi profumati.
Come tutti i processi che coinvolgono la persona nella sua dimensione integrale, il conseguimento del benessere passa dall’attenzione rivolta a sé stessi attraverso percorsi educativi e culturali. Quelli che, esperienza dopo esperienza, permettono alla propria vita di creare riferimenti positivi e costruttivi. Insomma, una concezione di benessere che nulla ha in comune con la comoda schiavitù dalla quale J.J. Rousseau, sbeffeggiato amichevolmente da Voltaire, chiede di essere liberato nel Discorso sulle scienze e sulle arti (1759): «Dio onnipotente, liberaci dai lumi e dalle arti funeste dei nostri padri, e rendici l’ignoranza, l’innocenza e la povertà, i soli beni che possano fare la nostra felicità e che siano preziosi davanti a te».

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