Ponte

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Il crollo del ponte sul torrente Polcevera, a Genova, ha gettato una luce sinistra su una parola che ha assunto numerosi significati e suggerito, nel tempo, altrettante intense e impegnative metafore. Dalla letteratura alla filosofia, dall’antropologia alla psicologia, dalla teologia ai racconti fantasy. L’etimologia della parola ponte rimanda alla radice path, conservata nel sanscrito panthās col significato di via, sentiero, cammino. A questi significati, il greco póntos aggiunge – si pensi! – quello di mare, visto come unica possibilità di stabilire relazioni per una qualsiasi realtà insulare.
Sta di fatto che, negli ambiti più diversi, è dato registrare la contrapposizione tra chi si spende per costruire ponti e chi invece innalza muri, fisici e metaforici. Molto più rumorosi sono i secondi, che privilegiano prospettive animate dalla paura dell’altro e dal bisogno di mettere al sicuro il proprio territorio da pericolose contaminazioni. Polarizzati entrambi in comportamenti che talvolta arrivano al dileggio e alla reciproca delegittimazione.
La scelta di farsi costruttori di ponti ha poco di romantico e molto di audacia creativa, che può coltivare solo chi, come scrive Ivo Andrić, «ha incontrato un ostacolo e non si è arrestato». Né dinanzi alla particolare configurazione del terreno o di una realtà idrografica né di fronte a chi o a tutto ciò che è alterità.
In ogni caso, il ponte non è un simbolo facile. E costruire un ponte è sempre una sfida, che appare in tutto il suo realismo quando la generica metafora del ponte prende il nome e assume il volto di realtà che attraversano la nostra vita di singoli o di comunità. Il ponte infatti, oltre a unire due sponde e a rendere possibile il transito dall’una all’altra, crea situazioni e relazioni nuove e impreviste. Queste reclamano sempre attenzione e assunzione di responsabilità. Ma anche sana ostinazione, soprattutto quando i ponti da costruire riguardano le sponde che caratterizzano la nostra vita interiore o quella delle comunità alle quali apparteniamo. Ponti da costruire non sono solo i ponti tra culture diverse o tra passato e presente. La necessità di costruirli va sviluppata anche tra l’attitudine all’autoreferenzialità e il desiderio di dare valore all’alterità di coloro che attraverso i ponti, semmai da noi stessi costruiti, si affacciano nella nostra vita; tra ciò che siamo realmente e le funzioni che ricopriamo, riconoscendo la tentazione sempre in agguato di far prevalere il personaggio – la maschera – sulla persona. Anticamera di uno dei muri invalicabili che si vanno tristemente costruendo, tra l’uomo e la sua umanità.

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