Disperazione

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Disperazione – Nella precisa corrispondenza tra Virtù e Vizi, che decora la fascia inferiore delle pareti della Cappella degli Scrovegni, si incontra l’affresco allegorico giottesco della Desperatio, opposto a quello della Spes. Anche etimologicamente la parola disperazione – che rimanda al latino desperatiōne(m), derivata dal verbo de-sperāre – è l’opposto della speranza. É la sensazione che non vi sia nulla che possa invertire la rotta di un evento o della vita stessa.
Non so quanto sia vero che la disperazione è la “malattia mortale” del nostro tempo. È lecito comunque domandarsi: “Davvero l’esito obbligato di questo stato d’animo è l’annientamento di sé perché dalla disperazione, come scrive Sartre, “Non c’è via d’uscita”?
Secondo alcuni, nella disperazione, oltre che una mancanza, vi è anche un “vantaggio”. La disperazione cioè, accanto a tutto ciò che di negativo la caratterizza, conterrebbe in sé una forza capace di mettere in moto energie insospettate, tali da suggerire soluzioni coraggiose. Di disperazione quindi si può non morire. Anzi, accanto alla strada del coraggio indicata da P. Schrader (“Courage is the solution to despair”), al disperato può aprirsi anche un’altra strada: “… dategli una possibilità, e il disperato riprende lena, si rianima, perché l’uomo senza possibilità è come se gli mancasse l’aria”, scrive S. Kierkegaard (La malattia mortale, Sansoni, Milano 1993, 639).
La disperazione – stato d’animo e situazione emotiva dal forte carattere pervasivo e penetrante – coincide con una mancanza di attesa e con l’assenza di progetti da realizzare. Nella disperazione viene meno insomma la dimensione del futuro; la stessa che Orazio contribuisce a delegittimare con il suo: “Carpe diem”. A fronte dell’allettante invito del poeta epicureo, ogni uomo e donna esperti della realtà, delle possibilità e delle difficoltà che la compongono capiscono il non senso e l’insopportabilità del vivere senza desiderare di guardare oltre, condannati alla logica dell’ormai e dell’assenza di futuro. Lo stesso che manca ad Adrianus Jacobus Zuyderland, raffigurato da V. van Gogh nel dipinto Sulla soglia dell’eternità. L’espressione del veterano di guerra ritratto, la postura accovacciata e ripiegata su se stessa, le mani che nascondono il viso concorrono a restituirci una visione disperata della vita, o almeno di alcuni momenti di essa. Momenti nei quali, come nel dipinto di van Gogh, l’uomo si sente schiacciato sotto il peso interiore che non gli permette di alzare il suo sguardo, semmai per permettere a qualcuno di accorgersi delle lacrime che solcano quel volto e tentare di asciugarle. Uguale intensità si incontra ne Il grido della disperazione di Munch. Qui il pittore norvegese mette in scena uno dei momenti dell’altalena infernale che si gioca tra la sicurezza dell’orgoglio e la resa della disperazione, che trova facile esca in chi pensa che il mondo delle possibilità coincide con le possibilità da lui conosciute.

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