Giornate “piene”! Piene di incontri, di parole dette e/o ascoltate. Piene di relazioni intrecciate, rinsaldate. Ma giornate piene anche di relazioni isterilite dalla consuetudine o sfilacciate a causa di incomprensioni. È l’esperienza che tutti facciamo. La frenesia caratterizza sempre più spesso le nostre giornate rischiando di farci attraversare in maniera superficiale alcuni tornanti della nostra vita e momenti potenzialmente decisivi per essa. Tornanti e momenti della vita che meritano altra attenzione e altra cura per accorgerci che esiste un tempo, in quelle che chiamiamo “stagioni morte”, in cui tutto sembra tacito e quieto, tanto quieto da farci pensare al nulla e alla morte. Guardate ad esempio gli alberi d’inverno, nudi e scheletrici o il seme che abbiamo appena piantato, ingoiato dalla terra. Tutto appare silenzioso e finito. Eppure, in qualche parte invisibile e nascosta, qualcosa freme e nell’intima profondità della terra la vita si prepara. Che torto alla vita farebbe il contadino se, visto il suo albero senza più foglie, lo tagliasse inesorabilmente o se, impaziente, vangasse la terra con il suo seme. Probabilmente licenzieremmo il nostro contadino accusandolo di essere incapace e incompetente. E certamente non avremmo tutti i torti. Eppure troppo spesso nelle nostre relazioni noi facciamo come quel contadino dilettante. Appena avvertiamo silenzio e aridità decretiamo, implacabili, la fine di una relazione o la chiusura di un processo di vita. Ci comportiamo cioè come chi non sa nulla dell’attesa e della promessa di vita che porta con sé questo tempo. …. (testo completo)
Il Sole 24 Ore – Editoriali e commenti – 7 ottobre 2017 – pag. 8