Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Continuano a esercitare un fascino particolare alcune pagine bibliche, antichi miti greci o opere letterarie che hanno come protagonisti dei ribelli: divinità, semidei o comuni mortali. Adamo ed Eva che si ribellano a Yhwh, Crono che si ribella al padre Urano. Prometeo, Pandora, Aracne, Elettra e Oreste, Medea, Antigone. E, tra quelle più vicine a noi, Emma Bovary, protagonista del romanzo Madame Bovary di Flaubert, e la ragazza ribelle per eccellenza, Jo March di Piccole donne, scritto da Louisa May Alcott.
Tutti, o quasi tutti, i protagonisti di questi avvincenti racconti confermano la capacità insita in ognuno di noi di dire di “no”, di rompere degli schemi, di non rassegnarsi all’esistente. Di ribellarsi, insomma. Soprattutto quando l’esistente si tinge del colore nero della notte o è segnato dalla fastidiosa impossibilità di scorgere con chiarezza cosa mi sta di fronte. Come capita quando ci troviamo nella nebbia.
A fronte dei ribelli evocati, c’è chi, come notava il Rapporto Censis di dieci anni fa, ama starsene tranquillo nella sua giara ben chiusa, senza alcuna voglia di romperla. Senza coltivare il desiderio e quindi una visione creativa di futuro. Senza avere alcuno stimolo di guardarsi attorno, di mettersi in gioco e di scommettere sul tempo ancora a disposizione. Per lasciare la propria impronta. Non necessariamente quella che assicura un posto nei vari olimpi o sugli altari che le corporazioni contemporanee vanno costruendo per autocelebrarsi.
Di una ribellione, vissuta a partire da un episodio di primo acchito marginale, tratta un romanzo che ho letto con gusto di recente e che ha ispirato queste mie note. Mi riferisco a Ribellarsi alla notte. Una storia di Natale (Paoline). Romanzo scritto da Mimmo Muolo (giornalista di «Avvenire») con i ritmi sorprendenti di un giallo-thriller e con una delicatezza capace di coinvolgere, fino a farti sentire mischiato nella folla dei protagonisti.
A Roma qualcuno ha sottratto, da un presepe costruito all’aperto, la statuina di Gesù Bambino. Da quel momento, tutto si svolge nel freddo della notte e nell’avvolgente ma poco rassicurante bruma della nebbia. Una notte e una nebbia a cui possiamo dare i nomi che hanno i nostri momenti di vuoto e di smarrimento, causati dall’assenza di una persona cara o dal venir meno di un ideale. Allora la ribellione diventa ricerca, come per i personaggi del romanzo di Muolo. La ribellione si placa solo quando una luce – in questo caso quella degli occhi del Bambinello ritrovato – torna a risplendere. Squarciando la notte e diradando la nebbia che avevano reso incerti i passi e i cuori di tutti i protagonisti di Ribellarsi alla notte.