Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Resilienza – «Resilienza» è una parola che prendo in prestito dalla scienza dei materiali dove resilienza indica, per un metallo, la caratteristica di resistere alle forze che vi vengono applicate. In ambito antropologico, la resilienza è la capacità di resistere e di reagire di fronte alle ineluttabili difficoltà e ad eventi negativi. Ciò fa della resilienza «non una condizione ma un processo: la si costruisce lottando» (G. Vaillant). Per un metallo la resilienza è il contrario della vulnerabilità o fragilità. Per noi tutti la resilienza implica un persistere nel tentativo di perseguire degli obiettivi anche faticosi e impegnativi, mantenendo intatti la motivazione e le decisioni che ne derivano. La persona resiliente, nonostante la sua naturale vulnerabilità e la sua fragilità, si adatta e trasforma eventi negativi e pericolosi in opportunità per crescere e progredire, non “nonostante” ma talvolta proprio “a partire” dalle difficoltà che segnano la vita. «Ci sono due modi di guardare le difficoltà della vita – ebbe a dire papa Francesco ai giovani presenti allo stadio Kasarani di Nairobi, il 27 Novembre 2015 – o come qualcosa che ti distrugge e ti tiene fermo o come una opportunità».
Resilienza deriva dal latino resalio, forma iterativa di salio che significa “saltare”, “andare avanti”, “risalire la strada” contro ogni avversità, avendo chiaro il percorso e le forze necessarie per attraversarlo. E il salto prevede agilità, leggerezza di spirito e di corpo; non a caso il termine resilienza torna spesso anche nel linguaggio della danza ed è contrapposta alla pesantezza del corpo e alla consistenza degli ostacoli. La resilienza prevede la duttilità, tipica anche di certi materiali, che impregna il nostro modo di agire e la nostra capacità di adattarci a impulsi che non ci piacciono e che vorremmo legittimamente evitare. Resilienza è la parola chiave nella quale mi è parso di poter racchiudere anche l’atteggiamento di alcune giovani donne irachene, incontrate in uno dei miei viaggi in Kurdistan. Nonostante le difficoltà, anzi per reagire alle privazioni della guerra, hanno scelto di non fuggire, di non abbattersi e si sono organizzate trasformando una sciagura (come sono tutte le guerre e le persecuzioni) in opportunità di sviluppo e di libertà. Guardando i tanti bei vestiti da esse confezionati e conoscendo di quanto sostegno esse stanno godendo, mi sono convinto che la resilienza potenzia i suoi benèfici effetti se sostenuta dalla collaborazione e dalla coesione. Se vissuta pienamente trasforma, rende ottimisti: la persona resiliente tende a leggere gli eventi negativi come opportunità e non come minaccia, i cambiamenti come segni da cogliere per agire con slancio e creatività. La persona resiliente non perde la speranza, ma lotta fino in fondo, sapendo che ciò esige fatica; esige un morire in un primo momento per rinascere più forti e capaci di prima.
«Quello che distingue le persone le une dalle altre è la forza di farcela, o di lasciare che sia il destino a farla a noi» (F. Pessoa).
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