In questa quinta domenica del Tempo ordinario, le storie della chiamata di Isaia, di Paolo e di Pietro, ci suggeriscono due messaggi principali. Il primo riguarda la figura del profeta: chiamato a parlare in nome di Dio, egli è anzitutto uno che non fa conto sulle proprie qualità.
Questo testimonia Isaia, quando di fronte a Dio esclama: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono…”; anche Paolo parla di sé come di “…un aborto. Io sono l’infimo”; e Pietro, davanti a Gesù, si riconosce povero ed indegno: “Allontanati da me, perché sono un peccatore”.
L’altro messaggio emergente dalle letture è che lo “strumento” che il profeta deve avere sempre nel suo cuore, prima che sulle labbra, è la Parola di Dio. “Sulla tua parola getterò le reti!” risponde Pietro a Gesù, che lo aveva invitato a “prendere il largo”. Un breve ma intenso scambio di battute tra i due, che riassume la storia della chiamata di ogni discepolo, ieri come oggi. Proviamo allora a cogliere qualche particolare in più di questa pagina evangelica.
Pietro è reduce da un’esperienza fallimentare (la pesca notturna infruttuosa); e Gesù, per ridargli fiducia, sceglie una via inattesa: lo “prega” di fargli spazio sulla sua barca ‐ simbolo della vita ‐ che è vuota e tirata in secco. Così Gesù agisce anche con ciascuno di noi: ci prega di accoglierlo come compagno di viaggio e, con lui, di ripartire e solcare un nuovo mare, che si rivela carico di sorprese. “Prendi il largo…”. Ma quanta fatica per accogliere questo invito che rigenera, che ridà senso alla nostra vita, tante volte terribilmente appiattita! Forse, a renderci sordi e titubanti, non è sempre e solo la cattiva volontà. Spesso, incidono pesanti storie o delusioni personali, insieme a difficoltà contingenti. Ma anche di fronte ai nostri tentennamenti, Gesù non rinuncia: “Ti prego, fammi salire sulla tua barca!”, fammi spazio nel tuo quotidiano! E se anche noi, come Pietro, restiamo sorpresi da questa delicata richiesta del Signore, e la rifiutiamo in nome della nostra inadeguatezza (“Allontanati da me, perché sono un peccatore”), Gesù rimane fedele al suo amore per noi, con realismo. Egli infatti non risponde minimizzando (“ma no! … non è vero che sei peccatore”), ma dicendo: “Non temere”. Quasi a voler sottolineare come, davanti a Dio, il futuro conti più del presente e del passato; il bene possibile di domani vale più del male di ieri.
Il miracolo più grande compiuto da Gesù per quegli uomini, dunque, non è tanto la rete piena di pesci, quanto l’averli aiutati a non cadere vittime della delusione e dello scoraggiamento di fronte alle proprie sconfitte, e ad aprirsi alla sua chiamata. La risposta dei discepoli è stata pronta e totale (“Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”). E la nostra?