In questa XX domenica del Tempo ordinario, l’intero messaggio della liturgia della Parola sembra ruotare attorno ad un “sogno” di Dio e alle iniziative che Egli stesso mette in atto per trasformare questo sogno in realtà.
Per bocca di Isaia (1ª lettura), il Signore fa una promessa al suo popolo: il suo tempio (“la sua casa”) non sarà un luogo di discriminazione e neppure di confusione, ma piuttosto “casa di preghiera per tutti i popoli”. E le iniziative che Dio metterà in atto sono tutte volte a far diventare questo sogno una realtà: è Lui stesso, infatti, che prende per mano gli esclusi, per accompagnarli nella sua “casa di preghiera” (cfr. parte conclusiva 2ª lettura).
Questo dunque il “sogno” di Dio, un sogno che continua ad essere attuale anche per noi ed alla cui realizzazione Egli chiama a prendere parte soprattutto gli “ultimi” e gli “esclusi”, come la donna di cui narra il Vangelo di oggi. La scena si sviluppa in un drammatico ed intenso dialogo tra Gesù e la donna cananea, con la mediazione implorante dei discepoli: “Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!”. I momenti più intensi di questo dialogo sono sicuramente rappresentati dal grido accorato della donna (“Signore, aiutami!”) e dall’affermazione finale di Gesù (“Donna, grande è la tua fede!”).
Ma quello che potrebbe apparirci come il semplice racconto di uno dei tanti interventi di Gesù a favore di una persona bisognosa, in realtà è una pagina che sconvolge il modo comune di pensare e di vivere la fede. Per Israele, infatti, il culto a Dio si esprimeva soprattutto con la preghiera rituale, con l’osservanza del sabato, con offerte e sacrifici. Un po’ come capita anche oggi a tanti di noi.
Ma nel racconto evangelico non c’è nulla di tutto questo! Solo un’invocazione che nasce dal profondo del cuore, un grido che nasce da una vita segnata dalla sofferenza e dal senso di impotenza di una mamma: Signore, aiutami! E Gesù loda quest’atteggiamento interiore: donna, grande è la tua fede!
Perché una fede “grande” è quella che ha il coraggio di deporre ai piedi del Signore la propria storia, domandando a Lui di raddrizzarla, di darle un senso e un compimento. E la donna prega proprio perché la sua storia di madre possa avere ancora un senso, continuando ad avere accanto l’amata figlia a cui dedicarsi.
Matteo chiude il brano con l’annotazione: “Da quell’istante sua figlia fu guarita!”. Ecco la grande speranza che ancora oggi risplende dinanzi a noi: quando ci presentiamo davanti al Signore, ricchi soltanto della nostra vita (speranze, progettualità, gioie, lacrime, sconfitte), e con la stessa fiducia insistente della donna cananea, allora il Signore non potrà che guardare con occhi e cuore paterni alla nostra preghiera, dando risposta amorevole ai nostri bisogni più autentici ed essenziali.