Se il vangelo di Marco, nel suo insieme, cerca di rispondere alla domanda “Chi è Gesù?”, il brano odierno va direttamente al cuore della questione. Dall’identità di Gesù, infatti, dipende anche la relazione che bisogna stabilire con lui e le esigenze conseguenti a questa relazione.

Ed è proprio Gesù che, attraverso una pedagogia graduale, conduce i discepoli ad affrontare la domanda di fondo sulla sua identità. Prima li interroga alla lontana (“La gente, chi dice che io sia?”), quasi a volerli introdurre con delicatezza al momento di verità che seguirà. Ma la rassegna delle opinioni altrui non è l’obiettivo di Gesù, evidentemente poco interessato alle “indagini di mercato” ed alle chiacchiere degli “opinionisti” del tempo. A chi sta con lui, Gesù non permette di rispondere alle sue domande con “frasi fatte” né con formule prese a prestito, magari da libri ben fatti: una fede fatta di formule o ridotta ad esse è la tomba della fede stessa.

Quello che il Signore vuole, invece, è che i suoi discepoli – allora come oggi – vivano con Lui una relazione interpersonale autentica, senza accontentarsi del parere o del racconto di altri.

Per questo li incalza ponendoli nella verità di fronte a se stessi: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Ecco allora che alla domanda di Gesù: “chi sono io per te?” ciascuno di noi deve rispondere, mettendo insieme i brandelli di esperienza che ha fatto, tanto quelli belli ed esaltanti, tanto quelli che fatichiamo a tenere insieme per dare loro un senso. E può capitare anche a noi, come a Pietro nel Vangelo di oggi, di fare la nostra bella e convinta professione di fede (“Tu sei il Cristo”). Ma quando Gesù comincia a parlarci di sé, quando comincia a dirci che la sua è una strada di dedizione totale ed esigente, quando mostra l’esigente serietà che comporta lo stare con Lui, allora può capitare anche a noi come a Pietro di protestare ed agitarci perché non corrisponde alle nostre aspettative. In quei momenti, anche noi come Pietro meritiamo il rimprovero duro e salutare di Gesù: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”, perché con la bocca abbiamo fatto la professione di fede – e magari l’abbiamo anche insegnata agli altri – ma di fatto, poi, abbiamo sposato le logiche del mondo. Nella stessa prospettiva, anche san Giacomo (seconda lettura) sottolinea come la professione di fede in Cristo non possa fermarsi alle parole, ma richieda di essere autenticata dai gesti concreti della carità fraterna. A Gesù non interessa se sappiamo dire tante cose di Lui; ma gli interessa sapere se siamo disposti a seguirlo, vivendo nella testimonianza quotidiana una fede viva e credibile.

Pietro mostrerà di aver accolto la lezione, spendendo la sua vita per il Signore, fino alla croce. E noi, cosa rispondiamo a Gesù?

XXIV Domenica del Tempo Ordinario, 16 settembre 2018