Il profeta, una figura centrale nella Bibbia, colui che parla a nome di Dio. Non per aspirazione personale o per protagonismo, ma per vocazione. Dio stesso lo chiama di mezzo al popolo, lo “colma” della sua Parola e lo invia di nuovo tra la gente ad annunciare: “Dice il Signore Dio”. Il vero profeta, in fondo, è un uomo “vuoto di sé”, che si è lasciato riempire dalla Parola di Dio cui ha saputo fare spazio nel suo cuore. La sua predicazione perciò è autorevole, perché trasparente della volontà stessa di Dio; ma non per questo essa trova facile accoglienza. Anzi, tante volte la Bibbia narra la dura esperienza che tanti profeti hanno dovuto affrontare – qualche volta anche a rischio della propria vita – nell’adempiere la propria missione, magari finendo per essere rifiutati ed estromessi dal popolo a cui erano stati inviati. Un popolo che rifiuta il profeta, “voce di Dio”, perché non vuole che la Parola che egli annuncia causi novità “scomode”, disturbi le tranquille abitudini acquisite, faccia vacillare le false certezze che sorreggono la vita comunitaria.

Anche Gesù sperimenta quest’amara realtà, proprio fra la gente a lui più familiare, fra quelli che lo avevano visto crescere, gli abitanti di Nazareth. Annuncia loro la Parola di Dio, ma viene rifiutato e sminuito. La ragione? “Un Profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti”. In fondo, è la stessa tentazione che ancora oggi continua a serpeggiare nelle nostre comunità, tra coloro che si considerano più “vicini” a Gesù, quasi suoi “familiari”.

Lo “conosciamo” troppo bene per accettare che la novità del suo Vangelo possa sorprenderci, che scuota e rinnovi la nostra vita in profondità. Così, con questa scusa, tutto rimane come prima, mentre noi ci accontentiamo di un cristianesimo “ingessato”, “preconfezionato”, chiuso al vento nuovo dello Spirito. Pur di non essere scomodati dalle esigenze radicali del Vangelo, preferiamo “scandalizzarci” di Gesù e di chi parla in suo nome, proprio come i suoi concittadini di Nazareth.

Ma noi che spesso ascoltiamo la Parola di Dio, che incontriamo Gesù nella celebrazione eucaristica, ci lasciamo mettere in discussione da Lui nei nostri modi di fare o di pensare? Abbiamo ridotto il nostro rapporto col Signore ad appuntamenti fissi e ripetitivi? Ascoltiamo la sua Parola aperti ad ogni possibile “sorpresa” interiore?
È vero, a volte la pastorale ordinaria non ci aiuta a superare questi atteggiamenti: difficilmente avvengono fatti nuovi nelle nostre parrocchie, difficilmente persone nuove si mettono in gioco, ancora più difficilmente si è disposti a fare diversamente ciò che “si è sempre fatto così”.

Ma proprio per questo, serve una maggiore fiducia nella potenza rinnovatrice del Vangelo e una più piena disponibilità a lasciarsi trasformare da esso.

» XIV Domenica del Tempo Ordinario, 8 luglio 2018