Spesso, nella Sacra Scrittura sentiamo parlare di “profeti” e di “profezia”. Noi stessi, con il Battesimo, siamo resi “sacerdoti”, “re” e “profeti”.

Ma cosa vuol dire per il cristiano d’oggi essere “profeta”, “vivere una vita profetica”? Ce lo spiega la liturgia odierna della Parola, presentandoci due esperienze profetiche: quella di Geremia e quella di Gesù. Geremia, profeta nel difficile periodo delle invasioni babilonesi, è chiamato – dopo aver vissuto un’intensa esperienza di ascolto del Signore – ad interpretare e far conoscere le intenzioni di Dio per il suo popolo. Gesù, Figlio di Dio, con la sua vita e le sue parole, non solo annunzia il progetto di salvezza e di liberazione di Dio per il suo popolo, ma lo rende vivo ed attuale.

La chiamata di Geremia ad essere profeta è caratterizzata da quattro verbi:

“… ti ho conosciuto”. Il Signore chiama Geremia sulla base di una relazione profonda che ha stabilito con lui. A partire da questa, lo investe di un compito, gli affida una responsabilità e gli assicura la sua vicinanza;

“… ti ho consacrato” (letteralmente “ti ho messo da parte”). La chiamata e la consacrazione non fanno del chiamato un privilegiato, ma lo spingono a uscire dall’anonimato, lo spingono a dare un senso pieno alla sua vita;

“… ti ho stabilito profeta delle nazioni”. Il fine ultimo della chiamata è di essere “destinato agli altri”, per dare testimonianza di Dio;

“Stringi la veste ai fianchi, alzati …”. Un invito perentorio per un gesto che ha diversi significati: si cingono i fianchi per lavorare, per mettersi in viaggio, per portare un annuncio, ma anche per affrontare un combattimento.

Nel vivere la sua missione, il profeta Geremia non è solo: “Io sono con te per salvarti!”. Una presenza rassicurante, quella del Signore, che però non dispensa il profeta dalla fatica, dal rifiuto, dalla persecuzione e dalla sconfitta. Un prezzo che, ieri come oggi, la profezia autentica è chiamata a pagare.

A Gesù non è andata meglio di Geremia. Il suo ministero pubblico – ci racconta Luca – comincia con un rifiuto e con una minaccia, paradossalmente proprio dai suoi concittadini. Il duro rifiuto, però, non scoraggia Gesù, né arresta la storia e i frutti della sua presenza profetica. Egli va avanti per la sua strada, anche quando i suoi compaesani vorrebbero trasformarlo in “fenomeno da baraccone” (“Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”).

Anche oggi, il mondo ha bisogno di profeti, di uomini franchi ed … “esagerati”, come Geremia e Gesù. Esagerati, perché liberi. Esagerati perché coscienti di stare dalla parte di Dio. Esagerati perché aperti ai bisogni degli altri. Possa essere così anche la nostra profezia, esercitata nella condizione in cui ci troviamo e secondo le nostre proprie responsabilità.

 

» IV Domenica del Tempo Ordinario, 31 gennaio 2016