Spesso, nei nostri ambienti, si usa parlare di Chiesa profetica, annunzio profetico, gesti profetici… La liturgia della Parola di oggi – attraverso i gesti compiuti da Elia e da Gesù – ci aiuta a riempire di senso concreto quell’attributo e a capire chi è il “profeta”. Spesso, nella Sacra Scrittura, sono più i gesti che le parole a rivelare l’identità delle persone. Anche Elia e Gesù sono riconosciuti come “profeti”, per i loro gesti capaci di dare vita in situazioni di morte.

Elia è uno che non “gira alla larga” dalla sofferenza. Egli entra nella casa della vedova resa muta dal più grande dolore che possa capitare ad una mamma: la morte del proprio figlio. La presenza di Elia in quella casa comincia con un chiaro e forte invito: “Dammi tuo figlio”. Elia cioè non resta estraneo a ciò che è all’origine del dolore di quella donna, anzi prende con sé il bambino morto, compiendo su di lui gesti intensi di vita e invocando la presenza del Dio della vita. Il risultato di questo suo modo di essere e di agire è che il bambino è restituito alla vita e, insieme, alla sua mamma.

C’è un passaggio dai toni drammatici nel dialogo tra Elia e la vedova, che chiarisce ancora meglio il tipo di presenza e la funzione di Elia accanto al dolore di quella donna. Lei inizialmente chiede a Elia: “Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa?”. E’ così che la povera gente considerava il profeta: uno che spesso, in nome di Dio, – ma senza che in realtà Dio lo condividesse – procurava angoscia e alimentava sensi di colpa. Ma Elia non risponde, bensì compie dei gesti con i quali rassicura la donna, annunciandole che la visita del Signore e del suo profeta non è finalizzata a rinverdire la colpa e il dolore, bensì mira alla vita. Egli è lì per dire concretamente a quella donna la vicinanza di Dio e la partecipazione al suo dolore.

Allo stesso modo agisce Gesù, avvicinandosi alla vedova di Nain. Se Egli si fosse limitato ad accodarsi al corteo funebre, avrebbe solo aggiunto lacrime a lacrime. Anche Elia, se si fosse limitato a porgere le sue “sentite condoglianze” alla vedova, non avrebbe fatto arretrare di un millimetro il dolore sordo di quella donna. Ma Gesù ed Elia non agiscono così! Perché il profeta non agisce così! La sua consuetudine con Dio – del quale ascolta la Parola e al quale si rivolge costantemente nella preghiera – lo spinge verso orizzonti di vita, anche dove sembra regnare la morte.

Il profeta è un uomo che si lascia coinvolgere da Dio, non è un mestierante. E’ uno che, come Gesù, “sente compassione”; è uno che, come Elia, “si distende tre volte sul cadavere del bambino morto”. Atteggiamenti e gesti di intensa partecipazione, che fanno del profeta un’immagine del Dio di Gesù Cristo, che solo dai veri “profeti” riceve testimonianza credibile.

» X Domenica del Temp Ordinario, 5 giugno 2016