«Ti amo, Signore, mia forza!»: è questa l’intensa preghiera con cui la liturgia ci ha fatto rispondere (per l’appunto nel salmo responsoriale) al messaggio biblico di oggi, che è incentrato sull’amore di Dio e del prossimo.
«Ti amo, Signore, mia forza!». Un’invocazione che contiene anche un impegno dal valore particolare, soprattutto se assunto in una società come la nostra, fortemente ripiegata su sé stessa, capace di utilizzare termini di per sé positivi (come “globalizzazione”) per nascondere invece progetti di sfruttamento; una società in cui si fa fatica a far emergere segnali di vera solidarietà.
Nel racconto del Vangelo odierno, ai farisei che, per la terza volta, cercano di metterlo alla prova, Gesù risponde non prescrivendo dei comandamenti nuovi, ma attingendo e rilanciando una parte della professione di fede del popolo di Israele: «Amerai il Signore… Amerai il tuo prossimo…».
Questa espressione Gesù l’ha tratta dalla professione di fede del “pio ebreo”. Da parte di Gesù, l’aver fatto ricorso alla professione di fede di Israele ha un significato particolare: vuol dire che senza l’amore verso Dio e verso il prossimo, vissuto con totalità, non ci può essere autentica fede in Dio. Per chi conosce l’estremo realismo degli ebrei è più facile comprendere come in questa risposta di Gesù non ci sia niente di sentimentale o di emotivo.
Fa parte della convinzione del popolo ebraico, infatti, credere che per tenere viva l’Alleanza con il Signore sia necessario impegnare totalmente la propria persona e dimostrare concretamente di amare Dio; un amore, questo, che trova la sua misura nell’amore del prossimo.
Del resto, anche nel brano odierno del Libro dell’Esodo (I lettura) troviamo conferma di questo insegnamento, laddove l’autore sacro sottolinea come non si possa stare nell’Alleanza con il Signore e, contemporaneamente, maltrattare quelli che godono della sua protezione, come la vedova, l’orfano e lo straniero (cioè, chi non conta e non gode di appoggi e protezioni).
Rispondendo a quanti erano andati per metterlo alla prova, Gesù vuole anche aiutarli a mettere ordine nella loro religiosità, a ristabilire ciò che veramente conta e ciò che è meno importante: «Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i profeti». Del resto, Gesù ha vissuto la sua vita proprio così, spendendosi fino alla Croce per l’unica cosa che veramente conta: l’amore.
«Amerai il Signore… Amerai il tuo prossimo…». L’amore che Gesù raccomanda non è semplice affettuosità, ma è “operosità” affettiva, stima, fiducia, che rendono possibile il perdono e la comprensione. Perché l’amore di Dio e l’amore del prossimo sono due momenti di un unico impegno. Consapevoli dei nostri limiti e delle nostre infedeltà, chiediamo dunque al Signore di renderci capaci di adempiere tale impegno con coerenza e generosità.