Continua la prolungata catechesi eucaristica che la liturgia ci propone in queste domeniche. Ancora una volta, Gesù chiarisce il senso e i frutti del dono fatto alle folle, un dono che si rinnova ogni volta che celebriamo l’Eucaristia: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”.

Se il cibo dato a Elia (domenica scorsa) gli aveva permesso di superare la tentazione del sonno – cioè il senso della rinuncia, della sfiducia, fino all’abbandono del proprio ministero -, il pane della Sapienza è nutrimento per sanare gli stolti: “A chi è privo di senno ella dice: Venite, mangiate il mio pane”. Anche Paolo, rivolto alla comunità di Efeso, esorta alla saggezza: “Non siate sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore”.

Oggi, dunque, il destinatario del “pane che dà la vita” è l’uomo tentato dalla stoltezza. Nella Bibbia, stolto è colui che sta al mondo leggendo la storia e gli avvenimenti a partire esclusivamente da sé e dai propri interessi. A quest’uomo “stolto”, che si nasconde dentro ciascuno di noi, Gesù dice “Mangia il mio corpo”, “Bevi il mio sangue”, facendo questo avrai la vita eterna, facendo questo potrai vivere una vita saggia e compiuta.

I Giudei reagirono alle parole di Gesù mostrando profonda incomprensione e finendo per rifiutare la sua stessa persona. Essi sapevano che quell’invito a “mangiare” e a “bere” rimandava ad altro: fare spazio a Gesù, assimilarlo nella propria vita, fare proprie le sue logiche, farne un punto di riferimento, abbandonando o dando un senso nuovo alle certezze precedenti.

Anche noi, dinanzi all’invito di Gesù: “Mangiate”, “Bevete”, potremmo sentire l’esigenza di discutere, di difenderci chiedendo: “Come può essere tutto questo?”. Soprattutto quando, con animo sincero, ci accorgiamo di quanto sia difficile adeguare la nostra vita a quella di Gesù, agire secondo le sue logiche, averlo come punto di riferimento. In quei momenti, forse, anche a noi – come ai Giudei – i gesti del “mangiare” e “bere” per assimilare Gesù sembrano un po’ esagerati! Ci è più facile “adorare” che “mangiare”; e comunque ci riesce meglio ridurre al minimo il senso di quei gesti che dicono integrazione piena con Cristo. Perché, mangiando, si assimila, nutrendosi di quel cibo si entra in piena sintonia con Cristo, con i suoi sentimenti, con i suoi comportamenti. E questo fa paura, mette in imbarazzo! Un imbarazzo che cerchiamo di superare in tanti modi, non mangiando di quel pane, facendolo solo in occasioni nelle quali ci sentiamo “obbligati”, riducendolo ad un rito senza impegni.

Ma l’Eucarestia che riceviamo è “pane di vita” donata, offerta, spezzata per gli altri. E’ un “pane di vita” che non sopporta l’egoismo e la stoltezza. Sta a noi rendere autentica e fruttuosa la nostra partecipazione al banchetto cui Dio ci invita.

XX domenica del Tempo Ordinario, 19 agosto 2018