«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lui il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio”.
Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre”.
E da quell’ora il discepolo l’accolse nella sua casa. Dopo questo, Gesù sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si adempissero le Scritture, disse…». Gv 19,25-28

Dovessi dare un titolo a questa mia riflessione, a partire da Vangelo ascoltato, scriverei così: «Dallo stare accanto alla Croce, con Maria e come Maria, impariamo a stare accanto a tutti i crocifissi che incontriamo sulla nostra strada».
Chissà quante volte il nostro sguardo si è fermato su dipinti o sculture ispirati a questo brano evangelico. Mi riferisco a sculture o a dipinti che riproducono la scena della Crocifissione di Gesù. Quello che colpisce in queste riproduzioni è la mancanza di movimento, quasi a conferma del verbo che apre il Vangelo ascoltato: «Stavano … accanto alla Croce».
Al nostro mondo e a noi che, per un motivo o per un altro, siamo segnati dalla fretta, Maria e quanti stanno con lei accanto alla Croce hanno tanto da insegnare. E noi vogliamo metterci in ascolto di questo insegnamento, sentendoci anche noi lì, accanto alla Croce con Maria. D’altra parte, se siamo venuti qui anche da lontano, lo abbiamo fatto per devozione verso Maria Santissima. Ma la devozione vera è ascolto ed è imitazione. Nel nostro caso, imitazione e ascolto di quello che Maria vuole dirci attraverso i suoi atteggiamenti. Insomma, chi è venuto qui oggi, a cominciare da me, non può tornarsene a casa senza portarsi un invito a cambiare qualcosa della propria vita.
Presso la Croce di Gesù stavano sua madre e poche altre persone. Il loro “stare”, se confrontato con la fuga degli altri discepoli e con lo stare in modo sprezzante accanto alla Croce di tante altre persone, è di grande insegnamento per noi. Maria, stando accanto alla Croce dà prova di fedeltà; una fedeltà che non viene meno nel momento della prova. E questo, in un mondo nel quale prevalgono sempre di più relazioni fragili e frammentate, non è scontato. Il Vangelo ci dice che tanti, anche discepoli di Gesù, sono scappati. Non hanno retto nel momento della prova. Proprio come capita a noi che ci allontaniamo da Gesù, dal suo Vangelo e da storie che lui pone sulla nostra strada tutte le volte in cui diventa esigente “stare accanto”, mettendoci la faccia; come ha fatto il buon Samaritano, come ha fatto Madre Teresa di Calcutta, come ancora oggi fanno tanti uomini e donne che non smettono di vedere nei poveri nei profughi la carne sofferente di Cristo.
Sì, con Maria, restano in pochi. Questo ci dice che lo “stare accanto”, frutto di fedeltà, non si improvvisa. Siamo tutti capaci di dire buone parole e fare pie esortazioni; pochi invece sono capaci di “stare accanto”, di fermarsi di fronte al mistero dell’altro, senza prevaricazioni, accogliendo di non comprendere, lasciando spazio all’altro, accettando di non rinchiuderlo nello spazio angusto dei propri schemi. Chi sa stare di fronte al mistero dell’altro può stargli accanto nel momento del dramma, con lo stesso rispetto, con la stessa delicatezza e attenzione, senza false vicinanze compassionevoli. Come hanno fatto, con Maria, le donne ricordate nel brano evangelico ascoltato. Sono rimaste accanto a Lui Crocifisso perché loro erano abituate a stare con il Maestro, abituate a mettere ciò che avevano a servizio della comunità, avevano investito nel quotidiano risorse, talenti e sensibilità. Adesso sono capaci di stare accanto alla Croce, come il discepolo che Gesù amava, grazie all’esperienza nella quale hanno coltivato una relazione profonda.
Un’ultima considerazione  partire dalla seconda parte del Vangelo. «Gesù vedendo la madre e il discepolo che amava stare lì accanto, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre”.…».
Solo dal silenzio e da uno sguardo intenso nascono parole significative, capaci di creare nuove ed inedite relazioni: «E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé», o più precisamente “l’accolse tra le sue cose più care”. In sintesi: lo “stare” porta a ricevere il dono di una nuova rivelazione, porta ad aprire gli occhi e risignificare le relazioni con chi abbiamo accanto, posando uno sguardo nuovo sul fratello.
“Stare” porta a una dilatazione della capacità materna, capacità di accoglienza e di generazione, ma allo stessa tempo porta con sé la capacità di lasciarsi accogliere.

» Omelia, Santuario di Viggiano, 5 settembre 2016