Da sempre la Pasqua evoca luce che non acceca, vita nuova e gioia condivisa!
Ma quale rapporto c’è tra l’annuncio gioioso della Risurrezione di Gesù – quella che noi stiamo celebrando – e la situazione concreta che ci si trova a vivere?
Sono tempi, i nostri, nei quali le parole più ricorrente sono “crisi”, incertezza, paura … rancore. Le notizie più frequenti riguardano attentati terroristici spietati, distruzione, lutti, persecuzioni di uomini e donne che credono in Gesù Risorto e nel suo Vangelo.
Allora, come legare il canto, la preghiera e l’annuncio pasquale di quest’anno con la storia che tutti viviamo e che per molti aspetti assomiglia a un campo di battaglia, sul quale restano tante speranze deluse e tante vite schiacciate dalla fatica di guardare avanti con fiducia?
Per trovare risposta a questa legittima domanda dobbiamo accettare di metterci in cammino. Dobbiamo recarci con Pietro e Giovanni al sepolcro.
Dobbiamo prendere posizione davanti a quella pietra ribaltata e a quella tomba vuota.
La vita dei credenti celebra vivo e presente quel Gesù che – con la sua Parola e con i Sacramenti – non smette di rovesciare i macigni che tengono in scacco tante esistenze e sigillano, fino a renderle sterili, le speranze e le attese più profonde. Per questo, credere nella risurrezione e far spazio a questa fede nella propria vita, significa sentirsi spinti a lasciare posizioni di retroguardia e, tutto sommato, di comodo per rivestirsi dello stile del Risorto. Sì, proprio come hanno fatto Giovanni e Pietro e come hanno fatto le donne del Vangelo che dal sepolcro sono ripartiti per testimoniare un modo nuovo di vivere e stare nel mondo. Stare nel mondo come c’è stato Gesù.
Mi sono chiesto tante volte perché i primi testimoni di Gesù Risorto abbiano pagato con vita il loro annuncio. La storia ci insegna che non sono stati messi a morte perché facevano processioni o cantavano per strada l’Alleluja pasquale.
Sono stati perseguitati e messi a morte perché hanno dato concretezza alla loro fede, in Gesù Risorto. Hanno abbracciato le preferenze di Gesù mettendosi dalla parte dei senza voce e dei senza potere. Come ha fatto Lui. Dalla Pasqua loro hanno tratto le energie necessarie per non arrendersi a un mondo che avrebbe voluto ridurre gli “ultimi” alla marginalità; un mondo, come il nostro, che non ama essere disturbato dalla povertà di chi non ce la fa; un mondo che non ama condividere il benessere, quando c’è.
Lungi dal risolversi tra le pareti di una pur suggestiva celebrazione, la Pasqua ed il modo in cui l’hanno vissuta i primi cristiani ci invita a riscoprire lo stretto legame tra la liturgia e la vita, tra quello che si proclama nelle chiese e la nostra storia, fatta di volti, di nomi, di incontri precisi.
Come ricorda insistentemente Papa Francesco, non può dirsi cristiano chi non si impegna per la giustizia e per il rispetto della dignità umana; né può dirsi cristiano chi non accoglie fratelli e sorelle che fuggono da guerre e povertà. “Ero forestiero e mi avete accolto”. Le donne e i due discepoli di Emmaus hanno fatto fatica a riconoscere Gesù Risorto… ma alla fine lo hanno accolto seriamente nella loro vita.
Quando dalla Pasqua celebrata impariamo a impegnarci a lottare contro ogni atteggiamento di arroganza e di sopraffazione – a cominciare dalle nostre – allora la festa diventa un canto di vita nuova, al quale anche tante persone giudicate “lontane” troveranno modo d’unirsi.