Continua l’invito alla conversione con cui Gesù ha iniziato la sua predicazione e che la Liturgia della Parola, domenica dopo domenica, ci sta aiutando a riempire di contenuti precisi.
Oggi lo fa attraverso due riflessioni, legate alla prima lettura ed al Vangelo. In entrambe, il credente è chiamato ad essere disponibile a lasciarsi educare da Dio alla vera libertà e alla responsabilità.
Ma anche ad andare oltre una sorta di fatalismo vittimistico, giustificato dal sentirsi sempre più “condizionati” nelle scelte, e quindi quasi condannati dalle circostanze e dalle persone che ci circondano. Quando cediamo a questa tentazione, in realtà riconosciamo di essere gente priva di volontà, di capacità di scegliere, di capacità di gestire la propria vita.
Il Signore, attraverso un invito esplicito a fidarci maggiormente di Lui, vuole invece recuperarci alla responsabilità più piena, per essere veri “protagonisti” e non “vittime” del nostro vissuto quotidiano.
Molto significativa, a tal proposito, è la struttura letteraria della pagina evangelica, caratterizzata da quattro “antitesi” (scandite dalla formula “Avete inteso che fu detto… ma io vi dico”).
Al di là dei contenuti delle singole antitesi, riguardanti alcuni aspetti della vita quotidiana – fraternità/relazioni, adulterio, divorzio, giuramento -, c’è un elemento che attraversa tutto il brano e che è il messaggio che oggi ci viene consegnato: l’invito a fare un salto di qualità nella nostra vita. Anzitutto nel modo di affrontare e di vivere le circostanze quotidiane. L’invito a passare da un’osservanza formale, più o meno corretta, della Legge a gesti, parole e atti ben radicati in quello straordinario laboratorio che è il nostro cuore; inteso non solo come luogo degli affetti, bensì come luogo delle decisioni e spazio in cui prendono corpo le nostre progettualità.
Solo chi sa andare al fondo del proprio cuore, comprende che chi non ama “uccide”, in qualche modo, se stesso e gli altri. Solo chi sa andare al fondo del proprio cuore comprende che il desiderio va educato; non tutto ciò che desideriamo può e deve appartenerci; guardare per desiderare – e quindi per possedere a tutti i costi – vuol dire falsificare una relazione, fino ad adulterarla. Solo chi sa andare al fondo del proprio cuore passa dal divieto del giuramento al divieto della menzogna, che è prima di tutto rispetto per le parole. Tornare ad abitare il cuore vuol dire anche congedarsi da uno stile di vita fatto di promesse non mantenute; congedarsi da parole dette senza impegno. Magari prendendo le distanze da quell’indignazione “a buon mercato”, di chi magari non si sporca mai le mani.
Sta qui il salto di qualità che oggi Gesù chiede a noi: tornare ad abitare il nostro cuore. E’ questa la strada migliore per essere cristiani più consapevoli.