Dopo aver proclamato le beatitudini come promessa e programma di ogni vita cristiana, il capitolo sesto del Vangelo di Luca presenta Gesù che, come pedagogo, le applica alla vita. Accogliamo allora la parola di oggi come un invito a verificarci nel nostro rapporto con gli altri e con noi stessi.
Innanzitutto, Gesù ci mette in guardia nei confronti di coloro che presumono di proporsi arbitrariamente come guide di altri e sono anch’essi privi di luce. «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca?».
Il discorso viene rivolto innanzitutto a coloro che hanno il gravoso compito di guidare altri. Gesù sta parlando ai suoi discepoli, ai futuri testimoni del Regno dei cieli; ma le sue parole riguardano tutti gli educatori: genitori, insegnanti, catechisti, nonni e nonne…
Quanto bisogno ha il nostro tempo di maestri dagli occhi aperti! Di fronte ai numerosi fatti di cronaca, gli ‘opinionisti’ vanno a caccia delle cause e puntualmente ci dicono che il nostro è «un tempo che ha cancellato i valori», oppure più semplicemente affermano che è venuto a mancare il «senso della vita». Parole che dicono ben poco e spiegano nulla.
La verità è che, purtroppo, oggi, molti “ciechi” si presentano come guide e maestri!
La parola del vangelo ci ricorda che per vivere con responsabilità il compito di essere guida per gli altri è necessario prima diventare discepoli di Gesù. Solo chi vive autenticamente la Sua sequela può diventare, con la testimonianza e con la parola, guida per coloro che incontra nel suo cammino. Senza questa esperienza, non solo si rimane ciechi, ma ancor peggio, si rischia di cadere nell’assurdo di voler vedere la pagliuzza nell’occhio del fratello e non accorgersi della trave che oscura la propria vista.
Siamo strani noi umani: possediamo occhi di lince nello scorgere i difetti del prossimo e siamo talpe cieche quando si tratta dei nostri! Ciò che avviene per pregi e difetti avviene anche per diritti e doveri.
La similitudine trave-pagliuzza, rende palese l’assurdità di chi s’innalza a giudice del fratello. Chi giudica si autogiustifica, s’illude nella propria ipocrisia. Soltanto una lucida autocritica è la condizione per aiutare, con senso di partecipazione e di misericordia, il fratello a correggersi. Ciò vuol dire andare al di là delle apparenze, capire che dietro un volto, un carattere, un gesto, ci sono delle ragioni e se sono ragioni negative, poco edificanti, possono cambiare. Questa ‘radiografia’ che siamo chiamati continuamente ad effettuare, non è frutto di un esercizio di introspezione, di distaccata analisi dell’altro, ma di un atteggiamento di tenerezza e comprensione, riflesso della misericordia di Dio.
Gli ultimi versetti del brano evangelico sono invito ad una verifica del nostro essere veri discepoli: l’albero e i frutti, l’uomo e il suo deposito interiore, il cuore. C’è un legame intimo tra l’intenzione profonda, il centro e la radice della personalità, il “cuore”- dice il Vangelo – e il comportamento esterno, nell’agire come nel parlare. Ciò che importa non è la conformità ad un codice di norme, ma l’autenticità del “cuore”: è solo dal cuore “buono”, dalla coscienza illuminata e pulita che può scaturire una prassi autentica. Neppure basta riconoscere Gesù maestro e Signore, in una professione di fede verbalmente ortodossa: “ …non chi dice ‘Signore, Signore’…”…Quel che conta è ‘vivere’ la sua parola, depositata nel cuore e posta a fondamento della propria esistenza.