Al centro del Vangelo di oggi il drammatico dialogo tra Abramo e il ricco. Ma dopo averlo ascoltato, sarebbe riduttivo affrettarsi a concludere che, se il ricco è stato bene e ha goduto in vita, è bene che ora soffra, mentre il povero Lazzaro, affamato e trascurato in vita, è giusto che ora goda, accolto da Abramo. Sarebbe una banalizzazione del messaggio di Gesù, uno svuotare la proposta cristiana della sua carica e della sua vitalità, riducendola a forza di consolazione e di sublimazione per una vita “disgraziata” da cui fuggire. Il cristianesimo non è un diversivo né una forza di dissuasione dalla realtà. Tutt’altro! Così indicano alcuni particolari di questo racconto.
Anzitutto, il ricco è uno senza nome. Forse perché egli può avere il nome di ciascuno di noi, i suoi atteggiamenti possono essere anche i nostri. Ma, ancora di più, il ricco è un “senza nome” perché la sua storia, i suoi progetti e le sue relazioni si identificano con la sua ricchezza: la ricchezza è la sua vera identità.
Il povero, al contrario, ha un nome: Lazzaro, lo stesso nome dell’amico di Gesù. Ogni povero infatti è amico di Gesù; anzi, ogni povero è  Gesù stesso! “Il povero morì e fu portato nel seno di Abramo … il ricco nell’inferno! … Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso!”. Un modo chiaro per giudicare e condannare il modo di fare del ricco, le sue scelte senza cuore. Egli non viene condannato per la sua ricchezza, né per il suo far festa, ma per la sua indifferenza. Il suo vero peccato è l’indifferenza! Egli non vuole accorgersi che davanti alla sua porta, a un passo dalla sua tavola traboccante di ogni bene, c’è un povero, Lazzaro, che lo interroga con la sua presenza, fatta di piaghe ben visibili e di fame altrettanto evidente.
Il primo passo, dunque, per colmare la distanza che spesso ci separa dai “poveri” è accorgersi della loro esistenza. E quando non ci si impegna ad accorciare le distanze sulla terra, queste diventano “abisso” nell’eternità.
Più avanti, alle richieste di Abramo segue la sconsolata constatazione di Gesù: “… non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”. Non sono i miracoli, veri o presunti, né le vere o presunte “visioni” a cambiare il cuore dell’uomo. L’uomo si apre alla conversione se ascolta il “grido del povero”. Ma per poter intercettare quel “grido”, per lasciarsi convertire da quelle piaghe e dagli stenti di chi ha fame bisogna essere “frequentatori” assidui dei poveri, coloro con cui Gesù si è identificato! Ed è l’assiduo ascolto della Parola di Dio che affina la nostra sensibilità e ci insegna a riconoscere chi soffre, spesso a un passo da noi, oltre la soglia delle nostre case o delle nostre Chiese.
Converti il nostro cuore, Signore, perché impariamo a riconoscerti ed amarti nei nostri fratelli più bisognosi.